il Giornale, 16 gennaio 2023
Ritratto al veleno di Erri De Luca
Ha difeso Cesare Battisti, un assassino di civili inermi. Ha protestato contro l’estradizione dei brigatisti in Francia e abbracciato Barbara Balzerani, con tanto di photo opportunity: à la merde comm’à la merde... Ha contestualizzato la lotta armata («Non era terrorismo: in quegli anni fu guerra civile»). Ha minimizzato la violenza di Lotta continua nel recente documentario di Tony Saccucci: «La militanza era la cosa giusta». Ha colpevolizzato i poliziotti che hanno impedito ai contestatori di aggredire i partecipanti al convegno di destra all’Università La Sapienza. Ha espresso solidarietà a Roberto Saviano contro quella bastarda della Meloni. Ha accusato il governo di «dirottamento» per aver assegnato a una nave Ong il porto di Ancona. E ha naturalmente preso le parti dei mediaticissimi ego-imbrattatori dei muri del Senato: «I veri Vandali stanno al Governo!». Però... Difficile sbagliarle tutte, anche a mettersi d’impegno.
Intellettuale impegnato, scrittore di lezioso successo («il darling di tutti coloro che si sentono buoni lettori, buoni cittadini, bravi ecologisti» annotò a margine una volta Giuliano Ferrara), estremista triste e moralista malinconico che ha costellato la propria vita di aggressività e fanatismo per poi predicare agli altri pace e tolleranza – da Curcio al Qohèlet è un attimo, dalla critica marxista all’esegesi biblica un’illuminazione Enrico Erri De Luca è uno degli autori più amati dalla sinistra sedicente solidale e intelligente. Anche se ancora non si è capito di cosa scriva. Stile ripetitivo, apodittico e sentenzioso, i suoi sono i livres de chevet della Gauche à trafic limité, sempre sotto i 30 all’ora, sempre sulla carreggiata del bene, quella di casa alla Feltrinelli e di spiaggia al mare del Renaione. Nuvole, fragole, piedi scalzi, farfalle, «Noi di Lotta Continua abbiamo fatto la rivoluzione!» (beh, a Mediaset, nei giornali e in Rai sì, ma tecnicamente si chiama «occupazione») e capitoletti a misura di pagina.
Esistono il pensiero debole e la prosa corta. Erri De Luca: la seconda.
È forse l’autore più è prolifico della narrativa italiana in tutto 78 titoli dal 1989 al 2022, sei all’anno, ma mai un libro più lungo di 80 paginette, corpo Veltroni, quello grande, con spaziatura tripla, per gonfiare il testo.
Testa calda, gioventù di piombo, vecchiaia arrabbiata, volto scavato, baffo da nostromo ma una passione per la montagna, Henry De Luca – nome lasciatogli da uno zio americano, che lui ha sempre scritto e pronunciato alla napoletana, Erri è il santone dell’ultra sinistra movimentista e sovversiva, sandali e Sandinismo, nostalgico del peggior bolscevismo sovietico e guru dell’antioccidentalismo, scelte radicali e contestazioni ad cazzum, davvero convito di essere l’ultimo rivoluzionario del Novecento: qualcosa a metà fra il santone Quelo di Corrado Guzzanti e il ribellismo spirituale dell’ultimo Tiziano Terzani. Si è persino convertito alla biblistica: traduce così così secondo gli specialisti i libri del Vecchio Testamento, e sembra che in alcuni seminari, ma non sappiamo se ciò sia causa o effetto della desacralizzazione della società, Erri De Luca sia più letto dei Padri della Chiesa. Anche se si fatica a capire l’attribuzione da parte dei media di una così pesante caratura intellettuale.
Intellò nato per sbaglio a Napoli, apolide fra Milano, Roma, Santa Maria di Galeria, il terzomondismo e l’eremitaggio, Erri De Luca che dalla prima linea della generazione che voleva cambiare il mondo, e invece lo ha solo peggiorato, si ritrova oggi a rimpiangere il tempo che fu, Che tempo che fa è molte cose. «Io sono numeroso», ha detto una volta. Ma noi di Erri De Luca ne basta uno. E invece è scrittore, attivista, ospite da talk show, belligerante, bestsellerista, biblista e amico di Carmen Llera («un amico, forse un marito»). Ma alla fine, perché dai propri peccati non si sfugge, è ricordato quasi solo per essere stato responsabile del servizio d’ordine di Lotta Continua ai tempi dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi. L’autonomia, l’esproprio proletario, il passamontagna, i Katanga, sbandate e sprangate. Dalla chiave inglese ai salottini Bo-bo in un amen.
Salmi, tè affumicato, ostentazione di una malintesa superiorità morale, climbing, festival letterari e folto seguito di groupies attempate. Volevate incendiare il mondo, siete finiti con le Birkenstock. Noi, almeno, portavamo le Timberland.
Poi, una sera, in televisione, sento Evvi De Luca che parte con il pippone elegiaco della «migliore generazione della storia». E cambio subito canale.
Erro, sempre erro, fortissimamente Erri. Mestieri romantici di Erri De Luca dopo la deriva degli anni di piombo: muratore, operaio in Fiat, magazziniere all’aeroporto militare di Sigonella, autista volontario nella Belgrado bombardata... Poi venne il tempo dell’istigazione al sabotaggio nei cantieri della TAV, i processi, la solidarietà della sua seconda patria («Je suis Erri») e l’indifferenza della prima. Quasi nessuno, fra gli scrittori italiani, si è sognato di difenderlo.
Le parole contrarie di Erri: No Tav, No Tap, No logo, No Ilva, No Triv, No Oil, No Cav (ma se serve si può anche pubblicare con l’Einaudi di Berlusconi). Che No ia. Come ha detto uno che non si è fatto incantare dai pifferai della stagione dei folli: «Fedele alle sue provocazioni No Tav, Erri De Luca, anzi, le esaspera: ricavandone grande visibilità». Poi, maître à penser per maître à penser, allora meglio Costantino della Gherardesca. «Sono stufo della retorica antiprogressista e pauperistica, dello stavamo meglio quando avevamo meno, degli scrittori come Erri De Luca che fuggono dai grattacieli e dalla tecnologia per la casetta in montagna, dimenticando che possono avere vizi da intellettuali solo perché a cinque chilometri hanno un ospedale e la modernità».
Antimoderno, pacifista a guerre alterne (no all’intervento della Nato nell’Afghanistan, sì agli armamenti all’ucraina) e firma di tutto l’arcobaleno giornalistico costituzionale (da Repubblica ad Avvenire, dal Manifesto a Vanity Fair: Wow! Champagne, molotov, prediche green e borsette Louis Vuitton, non propriamente in ecopelle). Sublime nell’arte di fare credere profondo il superficiale e illuminante l’ovvio (carina quella pagina web con tutte le frasi fatte di Erri De Luca), abituato a confondere l’«impegno civile» con le sprangate e il dissenso sociale con atti criminali, capace di rinominare la parola «terrorismo» con «militanza», il caro compagno Erri è ancora accartocciato a 72 anni – sui suoi rovelli che gli fanno vivere la Val di Susa come la nostra Striscia di Gaza. Erri di lotta e di padreterno.
E poi, comunque, per capire chi sta dalla parte sbagliata, basta vedere chi sono i sostenitori sempre dalla parte giusta. I suoi sono: Gad Lerner, Concita De Gregorio, Sandro Veronesi, Wu Ming, Zerocalcare, Alessandro Gassmann, Fiorella Mannoia, la Cuzzocrea e Ovidio Bompressi.
Erri: «Sì nu piatto vacante!».
Quando, nel 2014, in seguito ad alcune frasi rilasciate contro i cantieri TAV fu rinviato a giudizio per istigazione a delinquere, perse l’occasione della vita. Se lo avessero condannato, sarebbe stato elevato a martire. Gli andò male. Fu assolto.
E forse, caro Erri, guardando indietro alla tua vita antagonista, aveva ragione l’amico Vincino quando scrisse che tu non hai mai fatto un giorno di galera, dei tanti che avresti meritato