La Stampa, 16 gennaio 2023
La neve artificiale fa male all’ambiente
Strano a dirsi, ma se vogliamo palesare uno dei limiti oggettivi dello sviluppo umano lo dobbiamo cercare sempre più in quelle attività di svago e divertimento o sport che fanno ormai parte integrante del nostro essere sapiens. Tocchiamo con mano questo limite ogni estate, quando non ritroviamo la spiaggia che frequentavamo, perché mangiata dal mare, o non riconosciamo quel corso d’acqua dove passeggiavamo, perché ormai ridotto a un rigagnolo a causa di dighe e interventi di ogni tipo. Ma ormai questo limite è diventato evidentissimo nelle montagne di tutto il mondo e nelle Alpi in particolare, irriconoscibili rispetto a cinquant’anni fa per via dell’espansione di centri abitati e infrastrutture, del turismo di massa e a causa di elefantiaci, spesso inutili e quasi sempre dannosi impianti di risalita di ogni tipo e misura.
La cartina di tornasole però la fornisce, come spesso avviene ultimamente, il cambiamento climatico odierno, vera misura del limite dello sviluppo economico dell’umanità. Quello della montagna è un sistema estremamente fragile e le aree montuose, insieme a quelle polari, sono le più sensibili all’aumento delle temperature atmosferiche. Le Alpi vengono visitate da circa 120 milioni di persone ogni anno e il flusso turistico è in continuo aumento per la diffusione di una serie di attività sportive che possono essere praticate soltanto in questo tipo di ambiente. Tra l’altro, le faune di montagna sono in costante arretramento e perdono habitat a causa della costruzione di piste da sci, insediamenti e vie di comunicazione, e sono costrette a evitare con cura la presenza umana, che penetra sempre più profondamente il loro ambiente.
Per molte aree alpine, poi, la sicurezza della presenza di neve è uno degli elementi chiave dell’offerta turistica. Una neve che presto non ci sarà più, rendendo addirittura problematiche le prossime Olimpiadi di Milano e Cortina. Questione di un paio di decenni e l’arco alpino sarà interamente privo di un manto nevoso stabile e resisteranno solo i ghiacciai più grandi, Stelvio, Marmolada, Adamello. E, in Italia, la metà dei paesi in cui si effettuano attività sciistiche si trova sotto i 1.300 metri, dove già oggi non c’è più neve. Per far fronte alla diminuzione delle precipitazioni nevose, oggi alcuni comprensori sciistici sono in grado di innevare il 100% delle piste, al punto in cui l’innevamento naturale viene addirittura visto come un’integrazione della neve artificiale. In Italia, su 4.693 km di piste da sci da discesa, oltre il 60% è innevato artificialmente.
È una soluzione? Per produrre la neve artificiale, occorre nebulizzare finissime goccioline d’acqua con l’utilizzo di cannoni ad aria compressa: una parte dell’acqua evapora sottraendo calore all’ambiente circostante e di conseguenza le restanti goccioline si raffreddano, gelano e cadono al suolo sotto forma di cristalli di ghiaccio. Questo processo funziona con temperature dell’aria inferiori a –4°C, temperatura dell’acqua inferiore a 2°C e umidità dell’aria inferiore all’80%. Quando ciò non accade, si utilizzano additivi che influiscono sulla temperatura alla quale l’acqua ghiaccia, perciò per produrre la neve artificialmente occorrono acqua, aria ed energia.
Con un metro cubo di acqua si possono produrre in media da 2 a 2,5 metri cubi di neve; per l’innevamento di base di una pista da 1 ettaro occorrono almeno 1.000 metri cubi di acqua, per non dire degli innevamenti successivi, che richiedono un consumo nettamente superiore. La Cipra (Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi) calcola che, per i 23.800 ettari di piste innevabili delle Alpi, occorrono ogni anno circa 95 milioni di metri cubi di acqua, pari al consumo annuo di una città con 1,5 milioni di abitanti. Per sciare. L’acqua utilizzata viene attinta dalla rete idrica naturale e da quella potabile, eventualmente anche con la costruzione di bacini di raccolta appositi che garantiscono la disponibilità in breve tempo di grandi quantità. Per innevare l’intero arco alpino, il consumo energetico totale equivarrebbe a 600 GWh, corrispondente all’incirca al consumo annuo di energia elettrica di 130.000 famiglie di quattro persone. Sempre per sciare.
Consumi extra di energia e conseguenti emissioni clima alteranti hanno il simpatico effetto di incrementare la forzante antropica all’effetto-serra, aumentando la fusione di neve e ghiacci e, dunque, spingendo a innevamenti artificiali ancora più massicci. In un circolo vizioso senza fine. A ciò va aggiunto che un metro cubo di neve artificiale pesa 350 kg contro i 70-100 kg di un metro cubo di neve naturale, in quanto i cristalli che lo compongono sono più compatti e l’acqua è presente in maggiori quantità. Così il suolo è sottoposto ad una pressione anomala ed è meno isolato termicamente. Inoltre, l’acqua prelevata da laghi, fiumi superficiali e sotterranei e utilizzata per l’innevamento contiene minerali e altri composti chimici che rimangono direttamente intrappolati nel suolo in quantità maggiori rispetto all’innevamento naturale e per un periodo più lungo a causa della maggiore lentezza nella fusione della neve (fino a quattro settimane in primavera). Per non dire dell’effetto straniante di esigue lingue bianche in un paesaggio ormai grigioverde, che trasformano il mondo naturale in una Disneyland insostenibile e totalmente artificiale.