il Fatto Quotidiano, 15 gennaio 2023
I numeri del Cirque du Soleil
Ma sì. Perché diavolo dovrebbe essere questo – triste, grigio, bellicoso e (post)virale – il mondo reale? E se avessero ragione i maghi dell’immaginazione del Cirque du Soleil? Se esistesse un universo di fantasmagorie dove tutto è possibile, basta chiudere gli occhi e sognare?
Oddio, non che sia così semplice. Per uno spettacolo come Kurios, scritto e diretto da Michael Laprise, tornato in scena a Londra dopo lo stop pandemico a nove anni dall’esordio internazionale, servono uomini e mezzi. Acrobati, funamboli, ballerini, musicisti, con prove a ritmo continuo e la capacità di subentrare in corsa in altri ruoli se qualcuno deve dare forfait. Più un team tecnico che si fa un mazzo così a creare scenografie mirabolanti, cucire costumi, mettere su un villaggio. Ci vogliono sei giorni per allestire il set, 65 camion per trasportare il materiale, 54 performer che si muovono sotto il tendone, e gli spettatori che magari entrano lì scettici e ne escono con la bocca ancora aperta e il cuore allargato. Come è accaduto al vernissage della Royal Albert Hall e come accadrà di certo anche nel passaggio italiano, a Roma (Tor di Quinto, dal 22 marzo al 29 aprile) e Milano (Piazzale Cuoco, 10 maggio-25 giugno).
Ci sono almeno due messaggi di sottotesto, nello show. Uno, che è un po’ la cifra distintiva del Cirque: effetti speciali solo in carne e ossa, il vecchio salta-corri-rischia del teatro che surclassa la miracolistica virtuale del cinema; e un altro, più specifico per Kurios, che parla di un’ossessione per un fine Ottocento distopico e largamente d’invenzione, dove i reperti della cultura industriale diventano riciclo artistico: la cosiddetta narrativa steampunk, tanto cara a penne visionarie come H.G. Wells.
Il gancio per scoperchiare la trama punta su un personaggio, il Cercatore, convinto che vi sia un cosmo parallelo, non è chiaro se frutto di uno slancio onirico o radicato nel ventaglio del plausibile, dove possano materializzarsi cose mirabolanti. Per averne conferma, il Cercatore dovrà aprire il suo armadietto, il Cabinet of Curiosities, antesignano dei musei, la camera delle meraviglie rinascimentale dove aristocratici, scienziati e viaggiatori custodivano cimeli, strani souvenir esotici, opere d’arte. Ed ecco il trionfo meccanico e umano di questo regno alternativo, familiare nel nostro inconscio ma inusuale per la storia ufficiale della nostra civiltà.
Kurios dura due ore, ma potrebbe andare avanti all’infinito, dipanando il filo dell’incanto. Attorno al Cercatore compaiono gli abitanti del regno del Curiosistan, o il Signor Microcosmos, figura autoritaria che incarna il progresso, nella cui enorme pancia, a rappresentare il suo inconscio viene ospitata, in un’ambientazione vittoriana, Mademoiselle Lili (l’artista che la interpreta è Rima Hadchiti, alta un metro per 18 kg, una delle persone più piccole al mondo) o l’Uomo Fisarmonica, con un mirabolante abito a pieghe, o ancora Klara, il “Telegrafo dell’Invisibile”, dalla gonna-antenna che riceve onde alfa. E sorprese che neanche da bambino avresti concepito: una bicicletta per andare in aria a testa in giù, un oceano con creature sottomarine, una gigantesca mano meccanica, finti gemelli siamesi separati da cinghie in acrobazia, un poeticissimo teatro di mani e proiezioni. Se ne esce rifrancati, da Kurios. Ma appena fuori ti incazzi, perché tutto sparisce