Tuttolibri, 14 gennaio 2023
Su "I donatori di sonno" di Karen Russell (Sur)
Non dormi. O meglio, per un po’ credi di non dormire affatto, ma il tuo cervello ti concede dei microsonni che riescono più o meno a tenerti in vita. Poi, ed è la fase terminale, smetti del tutto. E’ quello che accadde a Dori, che muore dopo “venti giorni, undici ore e quattordici minuti senza sonno. Chiusa dentro la sua testa senza possibilità di fuga”. E’ una morte atroce: “la mente logorata dal rumore di ogni colpo di tosse e dal ticchettio umido di ogni goccia di pioggia, rumori che esplodevano come bombe a mano contro la sua coscienza nuda: la mente schiacciata, alla fine, da una valanga di momenti di veglia. Da quando, per Dori, il sonno aveva smesso di sciogliere il tempo, lei ci era rimasta intrappolata sotto. Era sepolta sotto una coltre di fiocchi di neve, minuti che diventavano ore che diventavano mesi”.
Un’epidemia di insonnia fatale divora gli Stati Uniti, e non solo. Trish, la sorella di Dori, entra a far parte delle Brigate Morfeo, che provano a fermare la catastrofe nell’unico modo conosciuto: cercare donatori di sonno e di sogni che, tramite trasfusione, tornino a far dormire i malati, detti Oressini, dal nome dell’ormone che, per motivi misteriosi, viene danneggiato in una parte consistente della popolazione.
Come ci si muove in una pandemia, dunque? Facendo emergere la parte generosa di ognuno di noi, oppure speculando, oppure diffondendo false notizie, o tutte queste cose insieme?
Va detto subito che nel romanzo non c’è alcuna relazione con la pandemia che conosciamo: anche se arriva ora in Italia, I donatori di sonno (tradotto da Martina Testa per BigSur) è stato scritto nel 2014 da Karen Russell, magnifica autrice di fantastico che fin qui era arrivata in Italia attraverso Eliot negli anni Zero, con Il collegio di Santa Lucia per giovinette allevate dai lupi, nella terna finalista del Pulitzer, e poi con Swamplandia! e Un vampiro tra i limoni.
Russell è una figura fortunatamente ibrida nella narrativa non realista: dal genere prende quel che serve per raccontare ciò che le interessa: in questo caso il confine, assai sfumato, tra egoismo e altruismo. Trish è la migliore reclutatrice di donatori di sonno delle Brigate Morfeo: quando racconta della terribile morte di Dori, fra le primissime vittime dell’insonnia terminale, è così convincente, e dolente, che quasi nessuno riesce a rifiutarsi. In particolare, il tesoro di Trish è la Piccola A, una neonata in grado di fornire un sonno così puro da risultare compatibile con tutti i malati, senza mai causare rigetto o danni collaterali. Ed è davvero la salvezza, perché dopo una sola trasfusione si torna a dormire come prima. Ma ci saranno danni per la Piccola A? Nessuno è in grado di prevederlo davvero, perché le cause della pandemia sono appunto incerte: la certezza è che, se non si trova una cura (e la Piccola A non basta: il sonno si può prelevare solo a piccole dosi), l’intera umanità si estinguerà. Per colpa sua, come sempre: “La tv è diventata una sconfortante Galleria di Profeti. Secondo queste Cassandre di professione, a scacciare il sonno dal nostro pianeta sono stati le notizie trasmesse a ciclo continuo ventiquattr’ore su ventiquattro, l’inquinamento dei cieli, dei raccolti e dei corsi d’acqua, gli occhi sempre spalancati dei nostri dispositivi luminescenti. Noi americani siamo seduti su una sedia elettrica che ci siamo costruiti da soli. Che ne è dei nostri ritmi circadiani, le «vecchie, liete armonie» che ci scorrevano nelle vene come la spinta vascolare dell’acqua in mezzo alle foglie d’erba? Pessime notizie, caro Walt: il tuo canto è bello che andato”.
Sembra facile: una sciagura, una fonte di salvezza, dei bravi volontari. Ma c’è una persona che si oppone al dovere di salvare il mondo: ed è il padre della neonata, Felix. Tanta generosità (la moglie, la figlia stessa con i suoi sogni squisiti, le Brigate Morfeo) non lo convince. E’ lui ad affrontare Trish in una notte incantata in un campo di papaveri: perché, ed è normale che avvenga, sorgono attività commerciali nel disastro. Così nell’accampamento dei malati, la Nottopoli, si vendono intrugli chimici e no che possono indurre il sonno, e si affittano tende e piazzole fra i papaveri sperando che il mito vinca la malattia. Per Felix ci sono troppe cose ignote per essere così sicuri della propria bontà. C’è stata, peraltro, un’epidemia nell’epidemia: un donatore ha infettato i pazienti con il suo incubo, omettendo di dichiararlo al momento della trasfusione, e ora c’è chi non vuole più addormentarsi per non provare terrore. E c’è ancora qualcos’altro: un compromesso in nome della salvezza che pone l’antico dilemma del fine e dei mezzi.
E’ una piccola, gentile distopia, se proprio dobbiamo definirla, quella di Karen Russell: non è importante sapere perché tutto e cominciato, né come finirà (e se finirà). Conta, invece, sapere quale sia la scelta giusta.