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 2023  gennaio 15 Domenica calendario

Le molestie nel teatro italiano

Marta Marangoni e Debora Zuin sono attrici molto attive sulla scena teatrale milanese - l’una anche regista, legata al Teatro della Cooperativa e all’Elfo e con una sua compagnia (i Duperdù con il marito Fabio Wolf), l’altra formatasi alla Scuola del Piccolo in era Strehler, premio Eleonora Duse come attrice emergente nel 2005 - sono tra le fondatrici di Amleta, l’associazione che si prefigge di contrastare disparità e violenza di genere nello spettacolo. «Eravamo 28 e siamo circa 600, donne ma anche uomini, e ci tengo a sottolinearlo - dice Zuin - . Amleta è cominciata discutendo delle diseguaglianze di genere, per poi allargare a mobbing, molestie e abusi. Abbiamo ricevuto il Premio Arte e Diritti Umani di Amnesty International».
Il ministro Sangiuliano ha detto che negherà i finanziamenti ai teatri complici di molestie. Cosa ne pensate?
DZ: «Che è un passo avanti. Si tratta di vedere se passerà all’atto pratico. Un codice di condotta per i teatri in materia di molestie e violenze, in realtà esiste ed è stato firmato, ma non è mai stato attuato».
Marangoni: «Ci sono poi protocolli specifici, come quello degli "intimacy coordinator", che tutelano il nostro lavoro in una fase delicata come quella del set o delle prove, che non ci lasciano soli davanti a veri e propri abusi di potere».
Per questi casi Amleta che fa?
DZ: «Amleta si prende carico del percorso legale. Affiancata dal collettivo di avvocate "Differenza Donna". Per la Giornata contro la violenza sulle donne abbiamo lanciato la campagna social #apriamolestanzedibarbablù: grande adesione e tante testimonianze».
Cosa è stato denunciato?
MM: «Che personalità anche importanti praticano comportamenti eufemisticamente "inappropriati" da anni a ripetizione, protetti dall’omertà di chi sa. E da vulnerabilità e ricattabilità delle vittime».
DZ: «Si va dalla "palpata", che nella sua banalità è comunque difficile da gestire, a violenze sessuali o ripetute richieste di prestazioni. Ci sono provini che sono veri e propri adescamenti. In modalità notturna che dimostra la connivenza: qualcuno li avrà pure aperti quei teatri. Devono esserci regole precise per le audizioni».
Vostre esperienze dirette?
MM: « A me è accaduto di tutto e dappertutto, in Italia ma anche all’estero. Ho studiato recitazione a Barcellona e Berlino, e ovunque mi sono trovata in situazioni spiacevoli. Sempre da sola. Gli uomini sono bravissimi a sminuire, a fare quadrato. Ti senti male, non capisci, ti chiudi. Fai persino fatica a tornare a lavorare, che pure è la cosa che più ami. Denunciare non è mai semplice, anche dopo parecchio tempo. Amleta è anche questo: sostegno tra donne, contro ogni pregiudizio che ci vorrebbe sempre le une contro le altre».
Ma la consensualità?
DZ: «Spesso dietro un apparente libertà, c’è abuso di potere tra chi non è sullo stesso piano come ruolo o età».
Come verrebbe giudicato oggi un mito come Strehler?
DZ: «La riflessione va fatta, altroché. Personalità eccentrica e totalizzante, lui ha vissuto in un sistema che si nutriva di una certa mentalità; oggi certi comportamenti andrebbero visti in ben altra prospettiva. È importante discernere quanto una certa pressione è reiterata, ed è quindi abuso e ricatto, e quanto è seduttività di una personalità fascinosa. Ancora sopravvive un sistema patriarcale. Penso al coreografo Jan Fabre che teorizzava "no sex, no solo" (niente assolo di danza): osannato, premiato, da noi continua a lavorare. Questo dice molto della persistenza di una certa mentalità».
MM: «L’Italia è molto arretrata in questo, inutile nasconderlo. È un problema culturale che deve partire dalle scuole di recitazione. È importante che ci sia un gioco di squadra con gli uomini, perché la loro solidarietà permetterà di scardinare il sistema dall’interno».
La cosa più urgente?
DZ: «I cambiamenti culturali sono lenti. Invece in questo campo bisogna agire velocemente perché in Italia per la denuncia c’è davvero poco tempo: solo 12 mesi. È prioritario che si allunghino i termini. Lo shock non è facile da metabolizzare, né la vergogna da superare. Se da qualcosa dobbiamo cominciare, partiamo almeno da leggi adeguate».