la Repubblica, 15 gennaio 2023
Quello sfogo di Draghi con Casini
L’amarezza di Mario Draghi la racconta lui, il parlamentare di lungo corso Pier Ferdinando Casini. Se c’è un aneddoto, un risvolto ancora oscuro di eventi politici non perfettamente chiari negli ultimi quarant’anni, rivolgersi al più longevo dei parlamentari che per un passo non è stato eletto presidente della Repubblica un anno fa. Un anno dopo, Casini raccoglie la storia repubblicana vissuta in prima persona in un libro: “C’era una volta la politica. Parla l’ultimo democristiano” (Piemme). Un po’ memoriale e un po’ viatico, un pozzo di informazioni, di ritratti (da Amintore Fanfani a Draghi), di curiosità e di retroscena.
E quindi, Draghi si prepara a lasciare Palazzo Chigi, però pochi lo immaginano. Si gioca in quelle ore di mercoledì 20 luglio il tutto per tutto del governo di solidarietà nazionale che sta per essere abbandonato da una parte della ciurma politica che pure si era imbarcata. Quel 20 luglio “il Senato diventa il palcoscenico di una resa dei conti da film western, con colpi di scena a ripetizione”. Casini è in prima linea per salvare il salvabile. Glielo chiedono in tanti, dopo avere ascoltato il discorso in cui il presidente del Consiglio “chiede all’aula una fiducia che non sia di facciata, perché non vuole vivacchiare. Distribuisce fendenti a destra e a manca, ai 5Stelle come alla Lega, con l’idea precisa di non accettare tatticismi e di chiamare tutti a una leale assunzione di responsabilità”. È qui che Casini entra in scena: prepara e firma la mozione di fiducia a Draghi. Lo fa, a patto che il premier sia d’accordo. Lo è. Ed è nelle due ore di pausa dei lavori di Palazzo Madama che Casini ha il colloquio, tenuto finora riservato, con Draghi. Una discussione che nelle pagine del libro conserva tutta l’immediatezza di quelle ore: la stanchezza dell’economista e banchiere impegnato nelle istituzioni per “le troppe bugie dei partiti”, per le ambiguità. Infine lo sfogo: “Pier Ferdinando facciano quello che ritengono. L’importante è che ci sia chiarezza. Io ho fatto tutto quello che dovevo fare”.
Il nuovo corso italiano ha lì la sua origine. Ma c’è un giudizio che a Casini preme sfatare, che cioè la causa della vittoria della destra che ha portato alla premiership di Giorgia Meloni, sia sulle spalle del Pd e del suo segretario Enrico Letta. Non è così. Il Pd e Letta “hanno combattuto in solitudine una competizione impossibile, come tante volte capita nella politica”. E si approda alle acque agitate del centrosinistra oggi. Adesso è il tempo del congresso e della rifondazione del Pd. Tra Stefano Bonaccini e Elly Schlein chi sceglie Casini? Aspetti positivi e negativi di entrambi, però Bonaccini rappresenta “il meglio del riformismo emiliano, e non è cosa da banalizzare. Elly è nuova, potrebbe infondere entusiasmo, ma dovrebbe scongiurare la deriva radicale per non allontanare i moderati”.