Corriere della Sera, 15 gennaio 2023
Parla la prof presa a pallinate dagli alunni
«Sono passati tre mesi da quel giorno e io non riesco più a tornare quella che ero. Sono cambiata, mi sono chiusa, non riesco a insegnare come prima. I ragazzi in generale mi fanno paura, e non dico solo quelli della classe che ho denunciato, parlo di tutti. Poi però devo anche ammettere che ci sono molti altri studenti che mi sono vicini». Maria Cristina Finatti insegna Scienze all’Istituto Viola Marchesini di Rovigo. L’11 ottobre dello scorso anno in una classe prima i ragazzi le hanno sparato addosso dei pallini di gomma che l’hanno colpita molto vicino agli occhi. Tutto è stato ripreso dai telefonini e il video è finito su TikTok. Mentre la docente chiedeva conto di quella violenza, altri l’hanno derisa e denigrata. Ora la professoressa, assieme all’avvocato Tosca Sambinello, ha deciso di denunciare tutta la classe. La professoressa Finatti è una donna minuta, mite. Quando parla con i giornalisti le trema la voce, davanti ai microfoni è imbarazzata, ha l’aria di chi tutto poteva pensare, tranne che dover stare sotto i riflettori.
Sono passati tre mesi da quel giorno. Ora come sta?
«Sto cercando di risollevarmi, ma è faticoso, è come se si fosse rotto qualcosa, insegno da oltre vent’anni, ora non mi sento più la stessa».
Ha deciso di denunciare tutta la classe: cosa vuole ottenere?
«Quello che è accaduto è di una gravità estrema, erano tutti uniti, tutti compatti, mi hanno teso una vera e propria imboscata. Quando sono entrata nell’aula quel giorno, come sempre ho chiesto di mettere via i telefonini, e i ragazzi, che avevano già organizzato tutto, mi hanno detto “guardi prof li mettiamo qui sul davanzale sopra i termosifoni”. Io non ci ho dato peso, ma in realtà erano accesi, pronti a riprendere la scena. Così hanno sparato una prima volta, senza colpirmi. A quel punto sono scattata in piedi per requisire l’arma e chiedere conto di quello che era successo. In pochi secondi il video di quei primi colpi era già online. Poi, non contenti, alla fine della lezione hanno sparato ancora e mi hanno colpita, e nessuno si è alzato in piedi per prendere le distanze dai compagni. Anzi, un ragazzo c’era, l’ho sentito dire “che cosa avete fatto? Non dovevate sparare” agli altri, e per tutta risposta lo hanno insultato. Questo ragazzo si è messo a sedere e non ha fiatato. Il clima di omertà che si è creato in quella classe è pericoloso, li ho denunciati tutti, così finalmente qualcuno si occuperà di andare a parlare con ognuno di loro, qualcuno dovrà far loro capire che hanno sbagliato: ha sbagliato chi ha sparato, ha sbagliato chi si è messo sotto l’ala protettrice dei violenti».
L’istituto non ha sospeso nessuno, anche perché un genitore ha bloccato l’iter per un errore nella trascrizione della sospensione. Si sarebbe aspettata di più dalla sua scuola?
(Allarga le braccia). «Forse sì, ma non è giusto spostare l’attenzione sugli errori della scuola. Questo è un istituto di eccellenza, qui aveva studiato anche mio padre, ho un legame affettivo con questa scuola. È sugli studenti che si deve accendere un faro, e anche sui genitori che prendono le distanze da quello che avviene in classe. Come se quello che accade a scuola fosse completamente scollegato dalla loro quotidianità. Ho ricevuto scuse solo da un genitore: dove sono tutti gli altri?».
Dicono che avrebbero voluto contattarla, ma che non sono riusciti perché la scuola glielo ha impedito.
«Sono passati tre mesi. Se qualcuno avesse voluto chiedermi scusa un modo lo avrebbe trovato. Non lo hanno fatto perché non lo ritengono importante, questa è la verità. Ma la cosa peggiore è sentirmi dire che non sono una buona insegnante perché non sono in grado di tenere tranquilla una classe, quasi che la colpa di quello che è successo fosse mia».
Chi glielo ha detto?
«Qualche studente me lo ha rinfacciato».
Ha ricevuto solidarietà dai colleghi?
«Sì, da tutti. Mi hanno raccontato le loro disavventure con studenti maleducati. Quello che è successo a me è gravissimo, ma anche ad altri accadono cose terribili».
Che spiegazione si è data di questo comportamento degli studenti?
«L’unica cosa che interessava ai ragazzi che mi hanno colpita erano i follower su TikTok, dovevano fare il video e condividerlo, non gli interessava nient’altro, quella dei cellulari è una questione che va affrontata con coraggio da parte delle famiglie, sono tanti i ragazzi che passano pomeriggi interi sui social, sono soli, quella è la loro compagnia, e non va bene così».
Ha pensato di lasciare questa scuola?
«Sì ci ho pensato, ma non è giusto: non devo andarmene io, non posso darla vinta a quei genitori. Io resto e combatto, mi hanno tolto quella classe, ma ne ho molte altre».
Gli altri studenti come si comportano con lei?
«Sono tutti comprensivi, mi vedono cambiata, e stanno cercando di tirarmi su».
Come?
(Le si illuminano gli occhi). «Ieri siamo stati in gita all’università di Padova per studiare la genesi dei terremoti, erano tutti attenti, partecipavano, mi hanno fatto sentire orgogliosa. Saranno loro a salvarmi».