Corriere della Sera, 15 gennaio 2023
Bolsonaro indagato per istigazione alla rivolta
Jair Bolsonaro è auto-recluso nell’appartamento di Orlando, in Florida, ufficialmente su consiglio dei medici. Nessun tweet, nessun video sui social dopo la decisione presa venerdì sera dal Tribunale supremo brasiliano, su richiesta del procuratore generale, di metterlo sotto inchiesta per «istigazione» alla rivolta e «responsabilità intellettuale» per l’occupazione, il saccheggio e gli svariati atti di vandalismo compiuti domenica scorsa dai suoi sostenitori nei Palazzi del Potere a Brasilia. Il giudice Alexandre de Moraes afferma che l’ex presidente può aver contribuito, «in modo molto rilevante», alle proteste estremiste e non esita a usare l’espressione «organizzazione criminale» per definire la rete virtuale che «predica discorsi di odio e contrari alle istituzioni, allo stato di diritto e alla democrazia». Bolsonaro tace e firma autografi per i molti fan che stazionano da giorni davanti alla sua «casa di vacanze» in Usa, come fosse una star. È il suo avvocato, Frederick Wassef, a negare qualsiasi collegamento fra l’ex presidente e gli «atti di vandalismo e depredazione», definendo le manifestazioni radicali «movimenti sociali spontanei» e addossando la responsabilità a «infiltrati», non meglio precisati.
L’inquietudine nell’entourage di Bolsonaro è palpabile. Soprattutto dopo il rimpatrio e l’immediato arresto del suo finora fidato ex ministro della Giustizia. Anderson Torres è rientrato ieri mattina a Brasilia. All’uscita del volo da Miami, lo aspettavano gli agenti della Polizia federale, che lo hanno condotto in una caserma dell’Aviazione per essere interrogato in videoconferenza da un giudice della Corte Suprema. In seguito sarà trasferito nel Penitenziario di Papuda, dove sono stati rinchiusi 776 «bolsonaristi» dopo l’assalto alla Piazza dei Tre poteri (421 donne sono detenute nel carcere femminile di Colmeia). Con sé, non aveva il cellulare, forse per nascondere messaggi o chiamate fatte.
È la prima volta che un ministro brasiliano finisce dietro le sbarre ed è il primo «caduto» importante tra i fedelissimi di Bolsonaro. A casa sua, nei giorni scorsi, è stata trovata la bozza di un decreto che avrebbe annullato il risultato delle presidenziali vinte da Lula in autunno. Ed era lui, diventato Segretario alla sicurezza di Brasilia, che avrebbe dovuto fermare i «golpisti», domenica. Invece, il giorno prima era volato ad Orlando, in Florida, vicino al condominio che ospita Bolsonaro.
Torres, secondo le ultime ricostruzioni, sapeva cosa stava per accadere a Brasilia. Due giorni prima degli attacchi, l’intelligence aveva inviato al suo ufficio un rapporto che avvertiva dei piani dei manifestanti, intercettati su WhatsApp e su vari social, e metteva in guardia contro possibili atti violenti, «con carovane provenienti da altri stati» e slogan che incitavano alla «presa di potere». Eppure, l’ 8 gennaio appena 365 poliziotti militari operavano nell’area dell’Esplanada dos Ministérios e solo alle 18, su ordine di Lula, sono intervenuti 2.913 uomini della Guardia nazionale. «Torres è l’archivio vivente del golpismo bolsonarista», commenta il giornalista Leonardo Sakamoto. Se inizia a «parlare», tutto può succedere. «Non è improbabile che Bolsonaro sia incriminato, alla fine di un giusto processo», dice al Corriere il professor Claudio Couto, analista della Fondazione Getulio Vargas.
Ieri la rarefatta Brasilia era presidiata dai militari. Lungo l’Esplanada, gruppi di tifosi delle due squadre – Flamengo e Palmeiras – che si sfideranno qui per la Supercoppa a fine mese. Nessuno indossa più la maglietta verdeoro della nazionale, i bolsonaristi sembrano dissolti nel nulla.