Corriere della Sera, 15 gennaio 2023
L’Iran impicca l’ex viceministro Akbari
A nulla sono valsi gli appelli che fino a venerdì scorso erano stati lanciati sia dal ministro degli Esteri britannico James Cleverly che dal dipartimento di Stato Usa perché fosse risparmiata la vita di Alireza Akbari, un cittadino britannico-iraniano che, in passato, era stato anche viceministro della Difesa a Teheran durante il mandato di Mohamed Khatami. Ieri mattina un tweet del notiziario ufficiale della magistratura iraniana Mizan Online ha dato la ferale notizia: «Alireza Akbari è stato impiccato». Nel 2019 l’uomo, 61 anni, era stato arrestato con l’accusa di aver ricevuto circa due milioni di euro in cambio di informazioni riservate ma la condanna a morte era arrivata qualche mese fa e, nei giorni scorsi, era stata annunciata l’esecuzione. Il ministero dell’Informazione della Repubblica islamica lo definisce «uno dei più importanti agenti segreti britannici». Per l’Occidente, invece, le prove contro Akbari sono «politicamente motivate». Lui stesso si è sempre dichiarato innocente. Mercoledì scorso la Bbc persiana ha trasmesso un audio in cui l’ex viceministro iraniano dice di essere stato torturato: «Più di 3.500 ore di botte, droghe psichedeliche e metodi di pressione fisica e psicologica mi hanno tolto la volontà. Mi hanno portato sull’orlo della follia e mi hanno costretto a fare false confessioni». Il giorno dopo i media iraniani hanno diffuso un video in cui Akbari ammette che un agente britannico gli aveva chiesto informazioni su Mohsen Fakhrizadeh, lo scienziato nucleare iraniano assassinato nel 2020 quando lui era già detenuto. Secondo l’accusa, però, questo avrebbe portato all’omicidio dello scienziato.
Il fratello della vittima, Mehdi, ha riferito alla stampa internazionale che Alireza era uno dei consiglieri dei negoziati sul nucleare ed era stato invitato in Iran, nel 2019, proprio dal generale Ali Shamkhani, l’uomo di cui era stato vice al ministero della Difesa e che oggi è il potente segretario del Consiglio supremo di sicurezza nazionale dell’Iran (Snsc). Secondo alcuni analisti sarebbe proprio per minare Shamkhani che un ramo dei servizi segreti degli ayatollah avrebbe preso di mira Akbari. I due erano considerati molto vicini.
L’esecuzione suona come un atto di sfida verso l’Occidente che Teheran accusa di fomentare i disordini dovuti alla morte di Mahsa Amini, la giovane curda arrestata dalla polizia morale per un velo fuori posto e morta a causa delle percosse subite. La notizia dell’impiccagione ha mandato su tutte le furie il premier Roshi Sunak che l’ha definita «un atto vile, compiuto da un regime barbaro che non ha rispetto per i diritti umani del proprio popolo». Teheran ha risposto convocando l’ambasciatore britannico nel Paese, Simon Shercliff, deplorando «atti di sabotaggio del governo britannico». Poche ore dopo Cleverly annunciava di aver sanzionato Mohammad Jafar Montazeri, «una delle figure più potenti del sistema giudiziario iraniano». E in un’ulteriore mossa diplomatica, Londra ha poi richiamato temporaneamente da Teheran il proprio ambasciatore. Downing Street starebbe pensando di considerare le Guardie rivoluzionarie iraniane un gruppo terroristico, riferisce la Reuters.
Da Washington è arrivata la reazione del Dipartimento di Stato Usa che si è detto «inorridito», aggiungendo di «essere al fianco del governo britannico» contro un atto «ingiusto». E il presidente francese Emmanuel Macron ha definito l’impiccagione «un atto atroce e barbaro». In segno di protesta l’incaricato d’affari dell’ambasciata iraniana a Parigi è stato convocato dalla ministra Catherine Colonna. Per Amnesty l’esecuzione dimostra ancora una volta «l’aberrante assalto dell’Iran al diritto alla vita». Le relazioni tra Teheran e l’Occidente si sono deteriorate sin da quando i colloqui per rilanciare l’accordo nucleare del 2015 erano giunti a un punto morto ma nei mesi scorsi si è aggiunta la tensione per la feroce repressione dei manifestanti e l’irritazione per la fornitura ai russi di droni usati contro l’Ucraina.