Corriere della Sera, 15 gennaio 2023
Nozze e addii, l’amore sotto le bombe
Non è ai tempi del colera. E non è in tempo di pace. I giovani ucraini, civili o militari che siano, nonostante le bombe e nonostante sia ormai un anno che la guerra ha stravolto le loro esistenze, cercano di portare avanti in qualche modo la loro vita affettiva, tra divieti, coprifuoco e separazioni forzate. C’è chi – e sono davvero tanti dato che a settembre i matrimoni erano il 20 per cento in più rispetto all’anno precedente – decide di sposarsi. Anastasia, 24 anni, racconta: «Ci amavamo già da tempo, ma il 27 febbraio scorso ci siamo scambiati dei messaggi promettendoci di proteggerci l’un l’altra». Anastasia, come molti, a quell’epoca, proprio per timore della guerra, era già uscita dal Paese, trovando rifugio da parenti all’estero.«Sono rientrata a luglio per la prima volta dall’inizio dell’occupazione e ci siamo sposati, una cerimonia veloce e semplice». Vivere lontani però non è semplice. Il marito di Anastasia è un militare al fronte e lei è di nuovo all’estero. «Torno a trovarlo ogni paio di mesi, lui non vuole che viva in Ucraina. Non ci vediamo quasi mai, ma speriamo di avere presto un figlio, scherziamo già anche sul nome», racconta Anastasia. «Ridendo una sera al telefono abbiamo pensato di chiamarlo Javelin (come l’arma anticarro Usa diventata uno dei simboli di questo conflitto, ndr)». Figli e sogni di amore al tempo della guerra.
Ma c’è anche chi, dopo il 24 febbraio, ha deciso di interrompere un rapporto stabile. Per Ilya,23, anni, studente universitario di Kiev è stata una scelta obbligata. «La mia ragazza è andata in Polonia, io non potevo seguirla a causa della legge marziale (agli uomini tra i 18 e i 60 anni non è consentito lasciare il Paese, ndr), così ho capito che ognuno di noi si trovava nel posto in cui la guerra lo aveva messo e ho rotto con lei». Anche per Svetlana, 26 anni, pure lei studentessa nella capitale, la scelta di lasciarsi con il compagno con cui viveva da tre anni è stato un passaggio obbligato. Via WhatsApp, chiedendo di non mostrarsi in volto, racconta: «Essendo femminista non riesco ad avere una relazione con un partner che può essere teoricamente mandato al fronte e che io devo aspettare. E così mi concentro sul lavoro e su me stessa, trovando un po’ di pace. Ora sto pensando di andare a studiare negli Stati Uniti dove si trova già mia sorella».
E se fare piani per il futuro è complicato, mentre l’economia ucraina fa segnare i numeri peggiori di sempre (nel 2022 il Pil è calato del 30 per cento), anche fare nuovi incontri non è affatto semplice. «Qua a Kiev, come in tantissime altre città del mondo, prima della guerra andava molto Tinder. Ma ora è difficile affidarsi alle app per trovare nuovi partner. Primo perché il coprifuoco (che nella capitale è in vigore a partire dalle 23, ndr) limita le possibilità di incontrarsi. E secondo perché lì fuori il mondo brucia, come puoi pensare a divertirti?», conclude Svetlana.
Per Ilya invece è l’opposto. «Quando la possibilità di morire o essere mutilati diventa più alta del solito, sei costretto a considerare prezioso il tempo che hai e così cerchi di trarre godimento da ogni attimo. Nel rapporto con gli altri e non solo. Ecco perché ho deciso di non sprecare più nessuna occasione, che sia con una ragazza o che sia sul lavoro o nello studio. Ogni cosa va vissuta subito perché domani potrebbe essere troppo tardi».
Per Andriy, 32 anni, tassista di Mykolaiv, la guerra è una fase di passaggio. «Ho mandato mia moglie e mio figlio in Polonia, io sono restato anche perché non voglio lasciare il mio Paese. Non mi hanno chiamato a combattere però nel tempo libero faccio il volontario e lavorando con i giornalisti metto da parte i soldi da mandare ai miei. Così mi sembra di dare un senso a questo periodo orrendo». Certo la nostalgia e la lontananza rendono tutto più complicato. «Di notte, mi sveglio e guardo le loro fotografie. E a volte mi chiedo se mai torneremo a vivere come prima...».
Seduto su una panchina di Kramatorsk, il soldato Pasha, 45 anni, dice che ad ogni licenza fa l’amore con sua moglie tutte le volte che può. «Potrebbe essere l’ultima. Questo mi dà la forza per ripartire. Una volta tornato al fronte il pensiero di Tatiana (così si chiama la sua compagna, ndr) mi tiene vivo. Strofino la sua fotografia. E sento che mi protegge».
Secondo Rodion Hryhoryan, psicologo che assiste i militari al fronte «la guerra sta costringendo i soldati a reprimere i loro sentimenti, che sia ansia o depressione. E quando tornano a casa, hanno difficoltà enormi a relazionarsi con i loro cari. Entrano in modalità di sopravvivenza e ridicono ai minimi termini le emozioni: ma poi lo stress e la paura emergono con tutta la violenza rischiando di causare sindromi da stress post traumatico». In alcuni casi, si creano anche meccanismi di sfiducia verso il resto del mondo. «È difficile per chi ha visto i propri compagni morire, tornare e fare finta di niente. Certe cose non le puoi raccontare o non le vuoi raccontare per proteggere chi ti sta intorno. Un meccanismo che può innescare un grande senso di rabbia nei confronti del mondo esterno. E spesso sono le compagne e le mogli le prime destinatarie di questo disagio». Da quando è iniziata la guerra, quasi nessuno ha denunciato casi di violenza domestica o di stupri a Odessa. Seduta in un bar, Zhanna Mishkevych, poliziotta della città, spiega: «Ho una figlia di 16 anni a cui ho proibito di andare in giro da sola. Perché so molto bene cosa succede nella mente degli uomini quando pensano che il mondo potrebbe finire domani. Preferisco che stia al sicuro. Per le serate a ballare avrà tempo quando la guerra sarà finita».