Corriere della Sera, 15 gennaio 2023
Dante è di destra, dice Sangiuliano
«La destra ha cultura, una grandissima cultura: il fondatore del pensiero di destra nel nostro Paese è stato Dante Alighieri, per la sua visione dell’umano e delle relazioni interpersonali e anche per la sua costruzione politica profondamente di destra».
Il palco è quello di «Pronti, candidati al via», l’evento organizzato a Milano da Fratelli d’Italia in vista delle Regionali. C’è quindi il bisogno e la voglia di scaldare una platea già carica di suo, visti i sondaggi sia nazionali che regionali. E lo stesso ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, riconosce che la sua è «un’affermazione forte». Forse anche per questo allarga il discorso: «Non dobbiamo sostituire alla egemonia culturale gramsciana della sinistra una egemonia della destra: noi dobbiamo liberare la cultura, perché la cultura è tale se è libera e aperta dialetticamente».
D’accordo, ma Dante è stato davvero il fondatore del pensiero di destra in Italia? Le voci della politica non c’è nemmeno bisogno di sentirle: solo critiche dalle opposizioni, pochi a parlare nella maggioranza. Tra questi Fabio Rampelli (FdI): «Non so se si possa definire di destra Dante, sicuramente è stato un conservatore».
Ma cosa ne pensa chi a Dante ha dedicato una vita di studi? «Al suo tempo la destra e la sinistra italiana non esistevano», dice Enrico Malato, tra le tante cose direttore della «Rivista di Studi Danteschi». «Nel 1200 c’erano imperiali e papalini, Dante era una imperiale. Ma quindi era di destra o di sinistra? Lasciamolo in pace, direi».
Nel frattempo arriva la dichiarazione di Pupi Avati, regista dell’ultimo film sulla vita del poeta. Avvertenza. Pur dicendo di «non volere etichette», un mese fa Avati è salito sul palco della festa per i dieci anni di Fratelli d’Italia ed è consigliere del ministro degli Esteri Antonio Tajani. Quello che una volta si sarebbe detto un intellettuale d’area. Ma la sua non è certo una difesa: «Rispetto il ministro, ma è un po’ pretestuoso. Il valore di Dante, il motivo per il quale è sopravvissuto fino ad oggi e oltre oggi è la sua dismisura poetica, immensa, misteriosa, non certo la sua posizione politica».
«Pronto, professor Giulio Ferroni?». Già ordinario di Letteratura italiana alla Sapienza, comincia a ridacchiare prima ancora che finisca la domanda. «Quella del ministro è un’affermazione priva di fondamento, che rivela una mancanza di senso storico e della letteratura. L’uso politico della cultura è diffuso a destra come a sinistra, ma questa mi pare esagerata».
«Dante non era né di destra né di sinistra, era un grande italiano», commenta monsignor Marco Frisina, biblista e studioso di Dante. «Forse – continua – la sua è stata una provocazione. Ognuno è libero di pensarla come vuole. Non amo mettere gli uomini di cultura del passato in uno schieramento».
L’Associazione degli italianisti sta preparando una lettera aperta per dire che ben vengano le discussioni sui grandi temi culturali ma a patto di non ridurre il tutto a quattro battute da talk show. «Anche perché – spiega Alberto Casadei, professore di Letteratura italiana all’Università di Pisa – la semplificazione può essere utile per coinvolgere nel dibattito chi altrimenti ne resterebbe fuori. Ma presentare Dante come un ideologo dei nostri tempi è un’operazione che non sta in piedi e anzi rischia di produrre l’effetto opposto».