La Lettura, 14 gennaio 2023
Dentro l’Archivio storico Ricordi
Per raggiungere l’Archivio storico Ricordi, dove è conservata e custodita la più importante raccolta musicale privata del mondo, bisogna dirigersi nel cuore di Milano, varcare l’enorme ingresso della Pinacoteca di Brera al civico 28 dell’omonima via, attraversare il cortile interno in mezzo al via vai e ai sogni degli studenti dell’Accademia di Belle Arti, e salire poi lungo le curve di un’ampia scalinata in ferro e legno. È qui, all’interno di uno spazio ospitato dalla Biblioteca nazionale Braidense, che si schiude il tesoro inestimabile di Ricordi: 7.800 partiture manoscritte dal Settecento in poi (opere, musica da camera e sinfonica), 31 mila lettere autografe di compositori, musicisti, cantanti e scrittori dall’Ottocento a oggi, 10 mila libretti, manoscritti e a stampa, 13.500 documenti iconografici (bozzetti e figurini, manifesti, disegni e stampe), 5.700 numeri di riviste originali (65 mila pagine) e 6 mila fotografie... Ci sono pesanti porte che si aprono girando grosse manopole rotonde – da sommergibile o da caveau – e cancelli, chiavi, codici, allarmi, temperatura controllata, telecamere. È un mondo a parte, fatto di note e immagini, dove chi ama la musica classica è tentato di implorare: «Grazie, lasciatemi pure qui».
«Le fotografie – racconta con entusiasmo il direttore Pierluigi Ledda – fanno parte del più ampio piano di valorizzazione culturale del nostro Archivio promosso dal gruppo media Bertelsmann, proprietario della collezione e che prevede la completa digitalizzazione del patrimonio – già felicemente avviata nel 2016 – e la fruizione gratuita online da parte di studiosi e appassionati di quest’immenso tesoro culturale».
Il lavoro a questo lungo progetto (info: digitalarchivioricordi.com) è fatto di persone speciali e appassionate – «la Lettura», oltre a Ledda, ha incontrato Maria Pia Ferraris (archivista e conservatrice) e Barbara Bergaglio, responsabile di Archivi di Camera, il Centro italiano per la fotografia di Torino – e di attenzioni, di cura. A volte anche di scoperte e ritrovamenti, di profonda conoscenza della materia trattata, che oltre a essere musicale, è anche fotografica. Ora mille di queste rare e rarissime immagini verranno presentate al pubblico il 18 gennaio (in alto a destra i dettagli dell’appuntamento). «La Lettura» ne ha scelte alcune, legate fra di loro da una serie di affinità elettive.
Nella foto grande a destra vediamo Claudio Abbado (1933-2014) e Luigi Nono (1924-1990) con le rispettive madri (la somiglianza di occhi tra mamme e figli è stupefacente): Maria Manetti Nono (1891-1976) e Maria Concetta Savagnone Abbado (1899-1986). Siamo nell’aprile del 1975, l’occasione dello scatto è la prima esecuzione di Al gran sole carico d’amore, azione scenica in due tempi per soli, piccolo e grande coro, orchestra e nastro magnetico di Nono, per la Stagione d’opera e balletto del Teatro alla Scala 1974-1975. La partitura è dedicata dal compositore agli amici e compagni di tante storiche avventure sonore, Claudio Abbado e Maurizio Pollini.
Entrambe le mamme sono state fondamentali per gli inizi della carriera dei figli, come hanno confermato a «la Lettura» Alessandra Abbado (figlia di Claudio) e Silvia Nono (figlia di Luigi), che negli anni della loro gioventù sono state anche migliori amiche e che a un certo punto del loro racconto usano casualmente la stessa frase: «Mio padre si è sentito sempre molto sostenuto da sua madre. È stata fondamentale e lui le era legatissimo». Silvia Nono (suo nonno materno era Arnold Schönberg, giusto per rimanere in tema...), sospira, sorride e descrive la nonna come «una donna corpulenta, ma di grande leggerezza e di profonda umanità. Piena di ironia e umorismo, riusciva sempre a sdrammatizzare le situazioni. Accogliente, calda, affettuosa... Faceva parte della Compagnia delle Dame della Carità di San Vincenzo de’ Paoli (istituzione creata per aiutare i poveri, ndr) e apriva di nascosto le porte di casa e della cucina alle persone che le chiedevano la carità e da mangiare. E inoltre aiutava a studiare tutte le mie cugine».
Anche la madre di Claudio Abbado – ricorda Alessandra, figlia del maestro – si occupava degli altri: «Era una di quelle nonne che, anche se avevano poco tempo libero, lo usavano per sferruzzare dei vestitini per la chiesa. Era il periodo in cui si cominciavano a mandare aiuti ai bambini in Africa». Ma Maria Carmela Savagnone, oltre che essere madre di quattro figli, pianista non professionista – come l’amica Maria Manetti – e moglie di Michelangelo Abbado, è stata autrice di fiabe, filastrocche, racconti e raccolte, fra le quali Leggende lapponi; Fiabe persiane e soprattutto La cravatta magica e altre fiabe (Editrice Genio, 1948). In un’edizione di quest’ultimo (Archinto, 2017), nell’introduzione, Claudio Pestalozza, figlio di Luciana (sorella di Claudio Abbado) – che (altra coincidenza) è stata la persona che nel 1989 ha assunto come archivista Maria Pia Ferraris – scrive: «Curiosi e interessanti nella sua scrittura i richiami all’ambiente musicale in cui (lei) viveva, ad esempio la presenza in alcune fiabe di un mago chiamato Nonogigi, omaggio all’amico Luigi Nono». Nel suo libro La casa dei suoni (Vallardi, 1986) Claudio Abbado scriveva: «La mamma mi incantava con i suoi racconti sulla Sicilia, la sua terra, e sulla lontana Persia. Anche la sua fantasia diventava musica per me». Ricorda Alessandra Abbado: «Era la nonna, la grande madre, che tutti sognano: scriveva le sue favole e le raccontava a noi nipoti. Ne aveva undici, di cui nove maschi. Lei e il nonno abitavano a Milano in viale Lazio 21 e noi la domenica pranzavamo da loro. L’appartamento era semplice ma di grande calore: due camere, due bagni, due saloni comunicanti, un lungo corridoio con le librerie, una cucina basica, ma sempre in produzione. Era una bravissima cuoca: ricordo i dolci siciliani con pasta di mandorle – conservo ancora una sua scatola per mettere i biscotti – e le pesche sciroppate con gli amaretti, una torta con carciofi e pasta frolla e poi la sua straordinaria caponata, che è rimasta una passione di famiglia».
Alessandra rievoca: «Da ragazza ho vissuto dai Nono alla Giudecca, a Venezia. Era una casa pazzesca: un weekend venivano gli Inti-Illimani, il weekend dopo Pietro Ingrao. Ci passava il mondo della cultura e quello del comunismo illuminato». Luigi Nono e Claudio Abbado già avevano fatto bellissime cose insieme, uno componeva pagine straordinarie e l’altro le dirigeva. Pensiamo a Canto sospeso (1956), con testi tratti dalle Lettere dei condannati a morte della resistenza europea (Einaudi, 1954), inciso da Abbado anni dopo la scomparsa dell’amico con i Berliner, nel 1993. Pensiamo anche a Caminantes... Ayacucho (1987), ma soprattutto alle più celebre delle loro collaborazioni, Prometeo. Tragedia dell’ascolto (1984) su testi curati da Massimo Cacciari e tratti da diversi autori, fra cui Eschilo e Walter Benjamin. Una bozza eliografica con appunti autografi della partitura è conservata nell’Archivio storico Ricordi. A quell’indimenticata produzione commissionata dalla Biennale Musica di Venezia, Alessandra Abbado lavorò con Luigi Nono. «Mio figlio Gigi – dice – si chiama così in suo onore».
Ora qualcuno potrebbe chiedersi che cos’abbiano a che fare con questa storia di incroci familiari e affetti le tre foto (nella pagina di sinistra) di Gustav Mahler, scattate durante la sua prima permanenza romana nel 1907 per due concerti (25 marzo e 11 aprile) alla guida dell’Orchestra della Regia Accademia di Santa Cecilia. Il nome di Abbado è indissolubilmente legato a quello del compositore austro-boemo – nonostante l’autore che ha diretto di più sia stato Beethoven (712 esecuzioni), seguito da Mozart (623) e solo dopo, appunto, da Mahler (449) – per diversi motivi. Innanzitutto il suo primo successo internazionale (Salisburgo, agosto 1965), Abbado lo ottenne con la Seconda sinfonia di Mahler : lo aveva invitato Herbert von Karajan a dirigere la Messa di Cherubini, ma lui fece coraggiosamente la controproposta. La musica del compositore contrappuntò tutta la vita del maestro, che creò irripetibili (e definitivi) cicli sinfonici, dai tempi della Scala fino agli ultimi meravigliosi anni di Lucerna. E poi ancora: il maestro nel 1986 creò a Vienna la Gustav Mahler Jugendorchester, compagine giovanile in cui confluirono strumentisti da tutto il mondo, che, una volta raggiunto il limite di età, passarono nell’altra creatura di Abbado, la Mahler Chamber Orchestra, nata nel 1997. Sorrideva Abbado quando raccontava che Mahler diceva che ci sarebbero voluti cinquant’anni per capire la sua musica: «E c’è chi ancora non l’ha capita...».