Corriere della Sera, 14 gennaio 2023
Nuova multa per Trump
Orlando «Stand back, rilassatevi, aspettate fino a dopo le elezioni. Stand by: restate al mio fianco. E l’abbiamo fatto dal primo giorno». Così Enrique Tarrio, il leader dei Proud Boys, in video via Skype da Miami spiegò al Corriere – pochi giorni prima dell’assalto al Congresso del 6 gennaio – cosa significasse quella frase pronunciata da Trump tre mesi prima per il gruppo di estrema destra. Prima del 6 gennaio avevano già marciato due volte su Washington contro «l’elezione rubata».
Ora Tarrio è sotto processo a Washington con quattro compagni: Joseph Biggs, anche lui della Florida, Zachary Rehl, della Pennsylvania, Dominic Pezzola, ex marine newyorkese, ed Ethan Nordean dell’Oregon. Il capo d’accusa più grave, con il rischio di vent’anni di carcere, è cospirazione sediziosa – per cui è stato già condannato Stewart Rhodes, il capo di un’altra milizia, gli Oath Keepers. I Proud Boys si dichiarano non colpevoli e negato di essere suprematisti bianchi (Tarrio, afro-cubano, ha sostenuto che fossero «compagni di bevute» e «suprematisti occidentali»).
Secondo il procuratore Jason McCullough la svolta per i Proud Boys sarebbe scattata proprio dopo quella frase di Trump: «Stand back and stand by». La procura ha usato gli stessi messaggi che gli imputati hanno scambiato via sms e sul social Parler (Twitter li aveva espulsi) per dimostrare che avrebbero non solo pianificato l’assalto, ma aizzato i «normies» (la gente normale) per impedire la certificazione del voto – e dunque che Joe Biden diventasse presidente. «Iniziamo questo nuovo anno con una parola in mente... rivolta», scrisse Tarrio il 1° gennaio. Pezzola, l’ex marine, il primo a entrare nel Campidoglio dopo aver abbattuto una vetrata con uno scudo sottratto ad un agente, esultò, come pure fecero Nordean e Rehl, con commenti come: «Abbiamo travolto il fottuto Campidoglio del Paese più potente del fottuto mondo». «Non ve ne andate», avrebbe scritto Tarrio, che non era presente: era stato arrestato qualche giorno prima per aver bruciato una bandiera di Black Lives Matter strappata da una chiesa.
La difesa sostiene invece che gli imputati sono stati travolti dalla «mob mentality», la frenesia della folla, e sono capri espiatori di un sistema che è restio ad accusare il vero colpevole: Trump.
In un processo separato, a Manhattan, la Trump Organization è stata condannata ieri a pagare una multa da 1,6 milioni di dollari dopo che la compagnia dell’ex presidente e due suoi dirigenti sono stati riconosciuti in dicembre colpevoli di frode fiscale. Ma anche sul 6 gennaio una Commissione della Camera a guida democratica ha consigliato l’incriminazione del tycoon. «Trump ha detto loro che l’elezione era stata rubata», dice il legale di Tarrio. Quattro imputati condannano l’attacco al Congresso, con l’eccezione del legale di Pezzola, che ne sminuisce la gravità: «Ha solo rallentato di sei ore i lavori».