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 2023  gennaio 14 Sabato calendario

Processo Open Arms: tutti contro Salvini

Salvo Palazzolo per la Repubblica
PALERMO – Le prime risposte, davanti ai giudici del tribunale, sono già un atto d’accusa contro l’ex compagno di governo: «Mai sentito parlare di terroristi a bordo della Open Arms. E neanche di armi, o di accordi fra Ong e scafisti». L’ex premier Giuseppe Conte non usa mezzi termini contro Matteo Salvini, oggi imputato di sequestro di persona: in poche parole demolisce tutti i proclami che tre anni fa l’allora ministro dell’Interno lanciava per bloccare la Open Arms con 147 migranti a bordo. Conte prende le distanze dall’ex compagno di governo anche quando parla dei decreti sicurezza: «Proponente fu Salvini». E lo attacca ancora una volta: «C’era un clima incandescente rispetto a una competizione elettorale che poteva essere imminente e lui voleva rappresentare un presidente del Consiglio debole sul fenomeno migratorio mentre il ministro dell’Interno mostrava una posizione di rigore».
All’aula bunker di Palermo si rievoca la fine del matrimonio fra Lega e Cinquestelle, nell’estate del 2019. Luigi Di Maio, allora ministro dello Sviluppo economico, racconta un altro retroscena: «C’erano riunioniinformali dopo che Salvini negava i porti alle navi delle Ong». E, poi, ancora una bordata: «Non capivamo perché si dovessero rifiutare i Pos, i porti sicuri, sapendo che c’erano paesi europei pronti ad accogliere i migranti. La negazione del porto sicuro era solo una mossa per aumentare il consenso in campagna elettorale».Pure l’ex ministra dell’Interno Luciana Lamorgese finisce per accusare il suo predecessore: «Durante ilperiodo in cui sono stata ministro non ho mai negato la concessione di un porto sicuro», dice. «Noi abbiamo sempre messo in primo piano il salvataggio delle persone».
Per la procura di Palermo, i tre testimoni inchiodano Salvini: solo lui fu responsabile del sequestro di 147 migranti, tenuti per giorni in alto mare. E, a sorpresa, la procuratrice aggiunta Marzia Sabella e i sostituti Geri Ferrara e Giorgia Righi fanno sapere in aula che rinunciano a tutti gli altri testimoni dell’accusa. Anche all’attuale ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che fu capo di gabinetto di Salvini. Alla prossima udienza, il 24 marzo, si passerà ai testi delle parti civili: il primo è Oscar Camps, il fondatore di Open Arms.
Alla fine della lunga udienza, la difesa prova a spostare l’attenzione dalle accuse di Conte e Di Maio. Fuori dall’aula, nella consueta conferenza stampa, l’avvocatessa Giulia Bongiorno rilancia i sospetti su un video realizzato dal sottomarino Venuti che a poca distanza dalla Open Arms riprese il salvataggio di alcuni migranti, era il primo agosto del 2019. «Immagini che sono state sempre nascoste e che potevano cambiare il corso di questa vicenda giudiziaria», dice la legale, annunciando esposti e tornando a ipotizzare «una conversazione fra gli operatori della Ong e un personaggio misterioso», per la difesa era uno scafista. Ma è una ricostruzione che sia la procura che le parti civili hanno già smentito: in quel file ci sono solo le voci dei soccorritori. La Ong rilancia con un altro esposto alla procura di Roma, contro l’equipaggio della Marina militare: «Perché non intervenne per salvare i migranti?», dice l’avvocato Arturo Salerni, che offre al tribunale il «vero video» di quel salvataggio fatto dai volontari, a realizzarlo furono i giornalisti dell’emittente spagnola “Tve”, a bordo della nave di soccorso. L’Ong accusa: «Con la storia inesistente del sommergibile ci sembra di assistere a disperati tentativi di creare confusione, ma questo processo verte sugli inutili giorni d’attesa a cui sono state costrette centinaia di persone e l’unico imputato è Salvini».

Claudio Reale per la Repubblica

Quando nell’aula costruita negli anni Ottanta per il maxiprocesso a Cosa nostra entra l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, Matteo Salvini sta digitando qualcosa sul cellulare. Sono le 10,34, ed è l’inizio di una giornata da “c’eravamo tanto amati”, una danza sui cocci del governo Conte I: il leghista assiste alla sfilata dell’ex premier e del suo collega vice Luigi Di Maio facendo mostra di avere impegni istituzionali da mandare avanti, ma per tutto il giorno mantiene una faccia livida, infuriata con gli ex compagni di percorso che gli siedono davanti senza mai incrociarne lo sguardo.
Sembra una reunion di quel governo, l’udienza. Non ci sono solo il premier e i suoi due vice, uno imputato e l’altro teste: anche l’avvocata di Salvini, Giulia Bongiorno, era ministra della Pubblica amministrazione in quell’esecutivo. Eppure l’ex titolare del Viminale ignora tutti gli alleati di quel tempo: il leghista, di solito prodigo di parole per i cronisti, stavolta si sottrae, sfugge, rimanda. «Parlerà dopo», dice già dal giovedì sera il suo staff: il «dopo», però, non arriverà mai, se non mediato dai post su Facebook o dai comunicati. Avendo così dribblato le domande dei giornalisti che lo attendono pertutto il giorno, l’unica persona a cui Salvini si dedica finisce per essere Luciana Lamorgese, che in quel Consiglio dei ministri non c’era: «L’udienza celebrata oggi — commenterà l’imputato alla fine, aggrappandosi a un passaggio delle dichiarazioni rese da colei che gli succedette al Viminale — ha confermato un dato oggettivo. Rischio fino a 15 anni di carcere per il mancato sbarco dalla nave della ong spagnola tra il 14 e il 20 agosto 2019, nonostante Luciana Lamorgese abbia confermato di aver trattenuto gli immigrati a bordo di una nave in più di una occasione».
Sugli altri neanche una parola. Conte e Di Maio ricambiano: l’ex premier risponde alle domande di Bongiorno di tre quarti, come per non far entrare Salvini nel campo visivo, mentre l’ex ministro dello Sviluppoviene invitato dal presidente Roberto Murgia a rivolgersi alla corte e ne approfitta per dare quasi le spalle al leghista. È una danza degli sguardi negati: i testimoni, fatalmente, prima di sedersi sfilano davanti all’imputato e questi fa sempre in modo di avere qualcos’altro da fare.
Salvini si atteggia a uomo impegnato: prima di cominciare pubblica sui social una propria immaginein aula, dove sarebbe vietato fare foto, e in quello scatto si mette in posa da ministro con i dossier davanti. È un copione studiato nei dettagli: subito dopo l’ingresso di Conte l’imputato si gira verso il suo staff per concordare un comunicato su un cantiere a Brescia, poi farà in modo di fare filtrare una nota su un’iniziativa elettorale con Attilio Fontana.
Il resto è mera tattica processuale. Con Salvini che cerca ancora di ribaltare il merito del dibattimento, insinuando che fosse l’ong a commettere reati: «Sono sconcertato — dice — perché sono emerse solo a procedimento in corso le informazioni raccolte da un sottomarino della Marina. Registrò l’attività di Open Arms nell’agosto 2019, certificando alcune anomalie che facevano ipotizzare il traffico illegale di esseri umani». «Sono sette anni che le ong del mare vengono indagate, diffamate, ostacolate, bloccate — ribatte via Twitter il fondatore di Open Arms Oscar Camps, che siede sul lato opposto dell’aula — eppure finora l’unico indagato è Salvini». Che si ritrova solo, scaricato dagli ex alleati e persino costretto a schivare i riflettori. Cercando di darsi un tono nel momento più nervoso del processo.