La Stampa, 14 gennaio 2023
Contro Metsola
In un’intervista concessa a Repubblica, la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, dice la sua sul Qatargate con sovraccarico di preoccupazione, sconcerto e ansia di tutelare il buon nome dell’istituzione. I propositi sono eccellenti, il risultato non ci giurerei, per una ventina di motivi rintracciabili in ognuna della ventina di risposte date all’intervistatore. Ma una in particolare indica la riduzione al guinzaglio del populismo non tanto o non soltanto di Metsola, ma di quasi tutto il ceto politico continentale. Ed è la risposta in cui Metsola promette che il Parlamento toglierà l’immunità ai membri indagati in sessanta giorni anziché nei canonici novanta. Suppongo siano riducibili a sessanta per mostrare nessuna accondiscendenza con gli indagati, ma suppongo anche che, se erano novanta, è perché per leggere le carte e raggiungere un giudizio novanta ne servivano. E farsene ora bastare sessanta è un atto di sottomissione al potere giudiziario e all’opinione pubblica. Non un bel modo di difendere l’istituzione. L’immunità non è un privilegio personale ma assicura “l’indipendenza e l’integrità del Parlamento”, si legge infatti nel sito ufficiale. Ma del resto, se si tratta di togliere l’immunità, e non di valutare se toglierla o no, bastavano due ore. Ed è più o meno quello che le ribatte l’intervistatore: pure sessanta sono troppi, gli elettori vogliono risposte veloci. Metsola, dolente, dice che più di tanto non si può, ma si andrà comunque spediti. Mi resta un’ultima riflessione: e perché mai gli elettori hanno bisogno di speditezza? Perché la sete di sangue va placata alla svelta. Tanti auguri.