il Fatto Quotidiano, 14 gennaio 2023
Intervista a Gianfranco Amendola
“Sull’Ilva si sono viste cose incredibili, ma al peggio, evidentemente, non c’è mai fine”. Gianfranco Amendola è uno dei padri dell’ambientalismo italiano (il suo In nome del popolo inquinato ne fu un manifesto). Storico “pretore verde”, poi pm e procuratore, una cosa così non l’aveva mai vista. S’intende il decreto di fine anno con cui il governo ha esteso una normativa speciale a tutti i “siti industriali di interesse strategico” disinnescando pm e giudici. Si parte dall’Ilva, ma non solo.
Cosa ne pensa?
È sconsolante. Il Parlamento ha da poco votato per inserire la tutela dell’ambiente in Costituzione e il nuovo governo per tutta risposta partorisce un testo che è un sostanziale via libera a inquinare, peraltro scritto malissimo.
Non è esagerato?
Leggendo il testo, la sensazione è chiara. Si impedisce a giudici e pm di interdire l’attività o sequestrare in tutto o in parte un impianto inquinante di “interesse strategico nazionale” optando per un commissario. Basterà, ad esempio, che l’azienda adotti un “modello organizzativo idoneo a bilanciare” gli interessi economici dell’impresa con i diritti alla salute e all’ambiente: formulazione, con ogni evidenza, molto ampia e talmente generica da apparire sostanzialmente inesistente e non verificabile. Così si potrà continuare a inquinare. Il decreto peraltro aggiunge che, anche se vi è stato un sequestro, il giudice dispone lo stesso la prosecuzione dell’attività tramite un amministratore giudiziario “se, nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale, sono state adottate misure con le quali si è ritenuto realizzabile il bilanciamento” tra le esigenze di cui sopra. In questo caso non si richiede neppure che venga attuato quel bilanciamento, ma basta aver adottato misure con cui lo “si ritiene realizzabile”, ovviamente dall’impresa. Anzi, qualora questo non sia stato fatto, interviene direttamente il giudice dettando le prescrizioni.
A quale criterio risponde un intervento del genere?
È evidente che quello che conta per il nostro governo è la continuità della produzione – e cioè l’interesse economico dell’impresa – che viene addirittura equiparato, anzi deve “bilanciarsi”, in modo totalmente generico e indeterminato, con i diritti costituzionalmente garantiti alla salute e all’ambiente.
Vale solo per l’Ilva?
Oggi in quella formulazione ricade solo Ilva, ma basta un Dpcm del governo per applicarla ad altri impianti. Il decreto peraltro estende le misure anche al sito di raffinazione di Priolo, dove c’è un depuratore sotto sequestro per disastro ambientale a cui il giudice ha già intimato lo spegnimento. Cosa dovrà fare adesso?
Non è chiaro?
No, per nulla. La fase transitoria non c’è nel decreto, che opera un’altra scelta incredibile. In teoria il testo prevede che si possa sequestrare l’impianto se non si possono eseguire prescrizioni tali da evitare rischi per la salute pubblica, l’ambiente e la sicurezza. Ma è una foglia di fico, visto che nessuno lo sa prima e soprattutto il decreto impone di notificare i provvedimenti di sequestro subito a Palazzo Chigi, che può fare ricorso. Quest’ultimo, però, non verrà discusso dal tribunale competente territorialmente, ma da quello di Roma. In pratica il governo, sottraendo la decisione al tribunale dove vivono gli inquinati, di fatto ci dice che il giudice è “inquinato” anche lui, e quindi se ne deve occupare Roma. C’è però un motivo se la Costituzione afferma che “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge” e cioè dal giudice che la legge individua in base a criteri certi e oggettivi relativi al territorio in cui è stato commesso il fatto. Così si stravolge la Carta: la decisione finale sulla vita, sulla sicurezza e sulla tutela dell’ambiente dei cittadini viene demandata, in sede centrale, a Roma, che certamente non è in grado di rendersi conto della situazione locale. Aggiungo che non si sa nemmeno quale sezione del tribunale dovrà occuparsene, il decreto non lo dice: è anche tecnicamente scritto male.
Secondo lei il decreto è incostituzionale?
È senza alcun dubbio in contrasto con tutti i dettami della Costituzione, a iniziare dall’articolo 41, che non parla di alcun “bilanciamento” e afferma, senza ombra di dubbio, che le esigenze economiche e produttive non possono mai prevalere sul diritto alla salute. Il dl purtroppo si inserisce nel solco di una infelice sentenza della Consulta del 2013, che – giudicando legittimo il dl Salva Ilva del 2012 – per prima parlò della necessità di “bilanciare” i diversi diritti per non far sì che alcuni divenissero “tiranni”. Peccato però che nel 2018 la Consulta ha ribaltato questa lettura, bocciando il decreto con cui nel 2015 il governo Renzi disinnescò il sequestro nonostante fosse scattato dopo un incidente mortale a un operaio. Quella sentenza ha archiviato il concetto di “bilanciamento”. Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo ha criticato le misure messe in atto dallo Stato italiano per aver violato i diritti alla salute dei tarantini.
Nel testo c’è anche uno scudo penale per i vertici?
È il coronamento di questa visione: copre tutti gli eventuali illeciti commessi dai manager con la garanzia di una generale impunità. Sono stupefatto che il ministro della Giustizia Nordio, che è stato un magistrato, possa avallare scelte simili. Il rischio è che ora prendano fiato i tanti impianti inquinanti che abbiamo, che facendosi dichiarare di “interesse strategico” potranno beneficiare di una normativa che gli eviti la chiusura e gli consenta di inquinare con la benevolenza del governo. Spero che in sede di conversione il Parlamento si faccia sentire. Così è un colpo di spugna inaccettabile e un pericolo per tutti i territori di questo martoriato Paese.