il Fatto Quotidiano, 14 gennaio 2023
Ritratto di Gore Vidal
Burr di Gore Vidal è il primo in ordine di ambientazione dei sette romanzi che costituiscono il ciclo Narratives of Empire. Torna di nuovo in libreria per Fazi in una scansione editoriale che non rispetta l’asse cronologico perché ogni opera è comunque autonoma. Narratives of Empire è un’appassionata controstoria degli Stati Uniti, dalla sua fondazione fino alla Seconda guerra mondiale. Vidal smitizza il passato dell’America e lo reinventa mostrandone i troppi vizi e le poche virtù.
Il romanzo consacrato ad Aaron Burr, vicepresidente di Thomas Jefferson dal 1801 al 1805, serve a riabilitarlo dalla nomea di traditore della patria a discolpa di un inesistente complotto tramato contro il governo federale. Qui il ritratto dei Padri fondatori vira più sulle ombre che sulle luci. Un revisionismo perseguito con metodo se è vero che Abraham Lincoln, nell’omonimo Lincoln, appare come un uomo che aveva bramato il proprio omicidio e Roosevelt, ne L’età dell’oro, come il presidente che, pur informato, non sventò l’attacco di Pearl Harbor per guadagnarsi il pretesto di entrare in guerra. Biografo di una nazione come un moderno Svetonio, Vidal ha sempre inteso svelare i meccanismi del potere. Destino fatale per l’adolescente di West Point che cresce negli anni 30 leggendo testi per il nonno senatore non vedente, e che lo accompagna spesso al Congresso di Washington. Tenterà lui stesso in due occasioni, nel 1960 e nel 1982, di farsi eleggere senatore tra le file dei Democratici. Frequenta i Kennedy perché condivide con Jacqueline un patrigno, milionario, che prima sposa sua madre e poi la madre della celebre first lady. Un intellettuale impavido Gore Vidal – morto a 86 anni nel 2012 – che ha trascorso ogni istante della sua vita in un perenne antagonismo. Dandy di estrema sinistra pieno di contraddizioni: “Iconoclasta, progressista radicale, scatenato contro l’establishment, però pronto a vantarsi di frequentare la principessa Margaret al castello reale dei Windsor”. Virtuoso dell’insulto, si è sempre misurato in scontri dialettici ma anche fisici (epiche le sue scazzottate con Norman Mailer) e distillato battute ferocissime come “Capote l’ho detestato nel modo in cui potresti detestare un animale immondo che è riuscito a entrarti in casa”. Omosessuale dichiarato, Vidal è un predatore di corpi: “Calcolavo, a 25 anni, di aver avuto più di mille incontri sessuali”. Non va a letto con gli amici e con gli scrittori, eccetto una sola volta con Kerouac. La passione per Jimmie Trimble, morto in guerra a 19 anni, lo segna a tal punto che quattro anni più tardi, nell’America puritana del 1948, la trasfigura in La statua di sale, storia di un figlio della media borghesia innamorato del suo migliore amico. Il romanzo desta scandalo e subisce censure: “Per vent’anni venni regolarmente attaccato per non aver sufficientemente adorato l’altare della famiglia”. Costretto a reinventarsi contribuisce alla sceneggiatura, seppure non accreditato, del pluripremiato Ben Hur. Dopo la parentesi hollywoodiana si trasferisce, con il compagno Howard Austen, in Italia. Prima a Roma e poi a Ravello. L’atmosfera della Capitale gli suggerisce l’idea di Giuliano, romanzo sull’imperatore romano del IV secolo che tentò di soffocare la diffusione del cristianesimo. Nel 1968 assesta il vero colpo al perbenismo americano con la satira provocatoria della transessuale Myra Breckinridge. Myra, ex Myron, ora massima odiatrice dei maschi, nelle vesti di insegnante di recitazione, irretisce un aspirante attore che diventa gay, completando “la distruzione delle ultime tracce residue nella razza della virilità tradizionale”. Negli alti e bassi di una carriera scandita da decine di romanzi e di saggi collabora con Tinto Brass per Caligola e fa una comparsata di lusso interpretando se stesso in Roma di Fellini. Dopo la morte del compagno torna in California. Vive i suoi ultimi anni attaccato all’inseparabile bottiglia di scotch e come ultimo sberleffo lascia il suo patrimonio, anziché ai familiari, all’Università di Harvard, lui che non si è mai laureato. Un biografo ha dichiarato, in coerenza con il suo temperamento di dissidente: “Gore Vidal ha voluto andarsene da questo mondo puntando il dito medio contro tutti”.