Avvenire, 14 gennaio 2023
La benzina manda la maggioranza in tilt
La vicenda delle accise è stata per Giorgia Meloni come il pirandelliano “fischio del treno”, che ha come cambiato la sua percezione di quanto sta accadendo in maggioranza e nel governo. In troppi a briglia sciolta, interviste di ministri l’uno contro l’altro, parlamentari in libera uscita, approccio ai problemi simile a quanto avveniva negli ultimi mesi del governo Draghi, quando le decisioni del Cdm erano precedute e seguite da ondate di dichiarazioni, annunci e mezze proteste. La «linea», la premier, pensava fosse stata fissata in manovra, con una parte di risorse finalizzata a obiettivi politici concordati, per “caratterizzare” la legge di bilancio e non farla sembrare la copia tal quale delle misure del suo predecessore. Sembrava pacifico, ma non lo era, e sulle accise è diventato evidente. Prima Salvini che quasi considerava inevitabile un taglio delle tasse sul carburante, poi Forza Italia che circonda il decretotrasparenza di un gelo glaciale, infine Palazzo Chigi e il Mef lasciati soli ad affrontare la protesta dei gestori e le minacce di sciopero.
È una situazione a cui la premier ha deciso di reagire per-ché, ripete nelle ultime ore, senza una linea compatta e solida «non si va lontano». Così si spiega la doppia intervista televisiva di giovedì sera. E la convocazione, lunedì, dello stato maggiore di Fdi perché anche nel suo partito ci sono problemi: ministri che esternano molto e si fanno ombra, gruppi parlamentari che seguono poco i temi centrali dell’agenda di governo per seguire interessi più di nicchia... Una registrata ci vuole, ritiene la premier. E anche una stretta sulla comunicazione. Affidata al capogruppo alla Camera Tommaso Foti, che in chat ricorda ai deputati che Fdi ha un «ufficio stampa» cui fare riferimento, cui indirizzare, per una verifica e un supporto, le note stampa partorire a livello individuale. Anche per evitare, scrive Foti, «la diffusione di prese di posizione relative a temi sui quali si è deciso di non intervenire».
Bisogna stringersi intorno alla premier e all’agenda di governo, non lasciando interstizi in cui potrebbe entrare e allargarsi un’opposizione a tre facce ancora in cerca di unità, ma che sarebbe pronta a mettere da parte la faida interna nel caso intravedesse la fine della «luna di miele» tra il nuovo governo e il Paese. Sono timori seri, quella della premier, tra l’altro non nascosti giovedì quando ha confessata al Tg1 e al Tg5 che a spaventarla è soprattutto il rischio di non riuscire a farsi capire dagli italiani. Sulle accise come su altre scelte, difficili, che arriveranno.
Dinanzi, infatti, la premier ha un 2023 da far tremare i polsi. L’inflazione, le stime di crescita, i venti di recessione. Temi al centro del colloquio, ieri pomeriggio, con il governatore di Bankitalia Ignazio Visco. La nota di Palazzo Chigi è ultraistituzionale: «Si è trattato di un incontro cordiale, nel quale è stato affrontato il tema delle prospettive di crescita dell’Italia e degli scenari macroeconomici attesi per quest’anno».
Durante l’incontro, però, la premier italiana ha fatto presente a Visco – che siede nel board della Bce – tutte le perplessità e i timori del governo italiano sulla politica monetaria di Francoforte. La riunione del board del 2 febbraio è alle porte. Atteso un ulteriore aumento dei tassi, scelta che è stata già duramente contestata dal ministro della Difesa Guido Crosetto. Insomma, Visco è stato aggiornato sulle preoccupazioni politiche economiche del governo di Roma. Nessun riferimento, invece, al tema delle nomine, che nel prossimo autunno riguarderà anche Palazzo Koch. In ogni caso, i richiami alla maggioranza e l’incontro con Visco fanno parte di un’unica tela che Meloni sta tessendo: guadagnare fiducia dentro le istituzioni, ma senza consentire che si sfilacci la compagine di governo.