Avvenire, 14 gennaio 2023
Dmitrij Vasilets, il primo ufficiale russo in galera per essersi rifiutato di combattere
«Sono un militare delle forze armate della Federazione russa. Ma vorrei attirare l’attenzione sul fatto che sono anche un essere umano e un cittadino»: così inizia la lettera che il luogotenente Dmitrij Vasilets, 27 anni, ha inviato ai suoi superiori per motivare il proprio rifiuto di tornare a combattere in Ucraina. Vasilets è il primo ufficiale russo incriminato in base alla nuova formulazione dell’articolo 332 del codice penale che prevede pene detentive fino a tre anni per chi si oppone all’ordine di un superiore in caso di conflitto armato o si rifiuta di partecipare alle ostilità. Come molti suoi commilitoni, anche Dmitrij Vasilets era stato inviato in Ucraina nel febbraio scorso, poco prima dell’inizio dell’invasione, credendo di dover prendere parte soltanto a una serie di esercitazioni. Nei primi mesi di guerra ha visto morire due dei suoi amici più cari e si è convinto di non voler più prestare servizio nei territori ucraini occupati. Tornato in Russia alla fine dell’estate ha chiesto quindi di non essere più inviato nelle zone di combattimento, un gesto che in quel periodo era ancora censurabile soltanto con un congedo «disonorevole». Ma poche settimane dopo la Duma ha approvato la nuova norma che criminalizza il rifiuto di obbedire agli ordini militari, imponendo a quelli come lui di fare ritorno al fronte. L’ufficiale ha prima contestato l’ordine e poi ha ribadito in un nuovo rapporto il suo rifiuto di partecipare alle operazioni in Ucraina. Nei suoi confronti è scattato un procedimento penale immediato. Adesso dovrà rispondere dell’accusa di disob-bedienza davanti a un tribunale militare che potrebbe condannarlo a una pena di tre anni di carcere. Un caso simile si è peraltro già verificato nei giorni scorsi. Il tribunale della guarnigione militare di Petropavlovsk-Kamchatsky ha condannato il soldato semplice Alekseij Breusov a un anno e otto mesi di reclusione per essersi rifiutato di partecipare alle ostilità in Ucraina. Quanto a Vasilets, si è detto felice di non aver mai sparato nel corso dei suoi mesi di servizio e ha spiegato che ritiene di non avere il diritto di togliere la vita a nessuno: «Amo il mio Paese ma non ha senso uccidere le persone – ha detto al sito indipendente in lingua russa Meduza –. Non servirà a nulla, moltiplicherà soltanto la sofferenza e la distruzione, peggiorando la situazione. Dovremmo combattere la rabbia dentro di noi, invece del nemico. So che finirò in prigione. Avevo la possibilità di fare una scelta e l’ho fatta. Ritengo che sia meglio andare in carcere che tradire sé stessi e la propria umanità. Non sarei in grado di dire a me stesso “stavo solo eseguendo gli ordini”, perché non giustificherebbe nulla. La mia anima è nelle mie mani».
I suoi commilitoni l’hanno descritto come un soldato modello che eseguiva gli ordini senza alcun indugio e che in quattro anni di servizio nella caserma di Pechenga, una cittadina della regione di Murmansk, nella Russia settentrionale, non ha mai ricevuto un rimprovero. Una raccolta fondi per sostenere le sue spese legali è stata lanciata dal Movimento degli obiettori di coscienza russi, che denuncia il crescente accanimento nei confronti di chi si rifiuta di andare a combattere. In teoria, l’articolo 59 della Costituzione russa garantirebbe il diritto a svolgere un servizio civile alternativo all’obbligo militare. Sempre più spesso, però, la legge non viene rispettata e gli abusi non si contano. Mentre i tribunali militari delle singole guarnigioni stanno esaminando centinaia di casi di abbandono non autorizzato dell’esercito durante il periodo di mobi-litazione, sono emerse prove dell’esistenza di almeno una dozzina di centri di rieducazione per «refusenik», in cui è imprigionato illegalmente chi si è rifiutato di andare a combattere in Ucraina.