Tuttolibri, 14 gennaio 2023
La storia della foto di Einstein
Mentre Arthur Sasse premeva il pulsante di scatto probabilmente non si rendeva conto che quella che aveva appena fatto non solo sarebbe diventata una delle fotografie più pop del ventesimo secolo, ma avrebbe contribuito a imprimere nella pubblica opinione un’immagine indelebile di un’intera branca della scienza. Era il 14 marzo del 1951 e Albert Einstein era appena salito in auto dopo aver partecipato a una festa per il suo settantaduesimo compleanno. Già schivo di suo, il padre della relatività era infastidito dalla moltitudine di fotografi che lo seguiva. Quando Sasse gli puntò addosso l’obiettivo urlandogli di fargli un sorriso Einstein, per tutta risposta, tirò fuori la lingua. La foto con la linguaccia fece immediatamente il giro del mondo. Insieme ai capelli arruffati e a un aspetto che era un misto tra genialità e trasandatezza definì nell’immaginario collettivo l’identikit di Einstein e per estensione del fisico, personaggio cui spesso si associano creatività e sregolatezza, abiti sgualciti e rifiuto degli schemi, calzature improbabili, capelli ribelli e testa tra le nuvole. In parte stereotipi, naturalmente: basta una rapida occhiata in internet per trovare immagini di un Einstein elegante ed è ben noto il suo concreto impegno nelle vicende umane del suo tempo, ad esempio contro il razzismo che ancora all’epoca caratterizzava parti della società americana.Tratti di quell’identikit si ritrovano anche in Quanti di spazio, l’ultimo libro di Jim Baggott pubblicato da Adelphi. Il prologo del libro si apre infatti così: «Non è del tutto irragionevole, credo, dire che il lavoro nella fisica teorica attira particolari tipi di persone. È una disciplina che richiede una mente agile e creativa, nonché una certa dimestichezza nel maneggiare concetti astrusi e una matematica densa e complessa. Per questo ci si può aspettare una certa selettività. È utile anche non essere troppo interessati alla ricchezza materiale. Ma trattandosi di una fisica in bilico sul confine estremo della nostra attuale comprensione della realtà e dell’esistenza fisica, allora dobbiamo ammettere che c’è un altro tratto tipicamente umano che spesso può giovare. La fisica teorica adora (corsivo nel testo, ndr) i ribelli». Sul creativo siamo tutti d’accordo, ma occorre anche essere ribelle per diventare un bravo fisico? Non è detto. Da questo punto di vista l’incipit del libro – peraltro interessante e ricco di informazioni – indulge a una iconografia un po’ stereotipata della fisica.Nel suo corposo saggio Baggott affronta uno dei grandi temi della fisica teorica moderna, ovvero come gettare un ponte solido tra «due teorie fisiche di straordinario successo», la relatività e la meccanica quantistica. Due modelli che «pur rappresentando traguardi intellettuali grandiosi e di enorme successo… sono però crivellati di buchi» e soprattutto sono «due descrizioni incompatibili, ma, per quanto ne sappiamo (e certamente per quanto possiamo dimostrare), abbiamo sempre avuto un universo solo». Costruire quel ponte richiede di elaborare una teoria quantistica della gravità, un obiettivo cui la fisica lavora da anni. Come l’autore afferma «questo è un libro sulla gravità quantistica a loop, uno degli approcci contemporanei allo sviluppo di una teoria quantistica della gravità, che si colloca al limite estremo della nostra attuale comprensione di spazio, tempo e universo». Scienza di frontiera, quindi, per la quale – come sinceramente riconosce l’autore – «a tutt’oggi non esiste alcuna osservazione o evidenza sperimentale che la confermi».L’ampia narrazione di Baggott, 442 pagine, tra le quali 38 di note e un ricco glossario, intreccia la presentazione dei risultati scientifici con le vite di due fisici teorici contemporanei che si sono occupati di quegli argomenti. È una scelta che smussa alcune delle inevitabili asperità di temi non facili inframmezzandole con aneddoti e storie personali, ma che talvolta, per i miei gusti, scivola in un raccontare biografico dai tratti un po’ troppo epici.Il libro è scientificamente solido e ben strutturato, con una prima parte che introduce efficacemente il lettore ai fondamenti della relatività e della meccanica quantistica. Dichiaratamente – per lo stesso argomento che tratta – un’opera che privilegia la fisica teorica (il termine «teoria» ricorre una o più volte in 230 pagine del libro, mentre «esperimento» in 31) e che quindi si rivolge a un pubblico disponibile a un buon livello di astrattezza e che non si faccia intimorire dalla mancanza del conforto che deriva dal contatto concreto con il risultato dell’esperimento o dell’osservazione. Un percorso impegnativo alla scoperta di una delle frontiere della fisica contemporanea lungo il quale Baggott ben guida il lettore, senza nascondere alla fine che la conoscenza scientifica non è mai definitiva ed è sempre correggibile. Messaggio assai importante soprattutto in tempi nei quali alla scienza spesso si chiede di essere un distributore automatico di certezze, dimenticando quanto invece essa sia basata sul dubbio e sul «rifiuto di dichiararsi definitiva e certa».