La Stampa, 13 gennaio 2023
Spacey a Torino
Sorride stretto nel maglione blu Kevin Spacey, mentre cammina nella piazza salotto di Torino. Selfie con il primo che lo riconosce. È arrivato con anticipo per la Masterclass della prossima settimana al Museo del Cinema. Invitato con tutti gli onori. Grande attore. Premio Oscar. «American Beauty» nella memoria di tutti. «House of Cards» in quella dei fan delle serie. Secondo selfie. E tutt’intorno ci sono soltanto applausi.
Poi sposti l’attenzione un po’ più in là e trovi un mondo che dice «no» a questo evento. E la chiave è in quella frase che pronuncia l’attrice Cinzia Spanò, una delle fondatrici di “Amleta”, l’associazione che ha raccolto e che raccoglie le voci di chi ha subito molestie nel mondo del cinema. Eccola: «Cultura e violenza non possono mai stare insieme». Il riferimento è netto e, forse, non avrebbe neanche necessità di essere ripetuto. Kevin Spacey è stato accusato di molestie da parte di alcuni uomini con cui ha lavorato negli anni. Dalla prima denuncia è stato assolto ad ottobre dal tribunale federale di Manhattan. Ma a Londra è tuttora aperto un altro procedimento, con accuse analoghe mosse da altri tre uomini. Ed è proprio questo che oggi fa dire a più d’uno che «offrire un palco, e per di più istituzionale a Kevin Spacey non era proprio il caso». Una voce per tutte, quella di Laura Onofri di “Se non ora quando": «Io sono tranchante: su queste cose non riesco a tacere». Ma perché ha detto no? «Perché nel momento in cui c’è qualcuno che vuole dare spazio ad una persona che ha avuto questo tipo di problemi, e per di più ci sono ancora processi in corso, bisogna sempre prendere posizioni nette. Quindi per me è no». E non importa se è un grande attore? «Questa è una questione di cultura sociale: se vogliamo far capire ai nostri giovani che cos’è una molestia, dobbiamo cambiare il modo di pensare. E non dobbiamo invitare su un palco le persone su cui gravano certe ombre».
Ecco, adesso il dibattito si allarga. Chiama in causa altre associazioni e gruppi che lottano contro discriminazioni e molestie. Che da sempre dicono a chi ha subito di non tacere. Uno per tutti è Gigi Malaroda di “Maurice” che tira in ballo la differenza di visibilità tra chi ha molestato e chi ha subito: «Le vittime, o coloro che hanno denunciato, non hanno mai lo stesso spazio che viene concesso ad un Vip presunto predatore. Ed è per questo che io dico no. Ora, è vero che io non ho elementi per dire se Kevin Spacey sia colpevole o meno. Ma se ci sono persone che si dichiarano vittime sue non è il caso di offrigli uno spazio così importante».
Ma poi parli con Cinzia Spanò, che sui set e sui palcoscenici ci va da anni. E la domanda è una soltanto: lei lo avrebbe invitato? «No». E per quale ragione? «Perché è vero che Spacey è stato un grande attore che tutti abbiamo amato al cinema. Ma è anche altro. E allora non si può rimuovere una parte della storia di una persona per ricordare soltanto quella che più ci piace».
E la polemica monta. Spacey sì, Spacey no: si dibatte ai caffè di piazza San Carlo. Il presidente del Museo del Cinema, Enzo Ghigo, liquida la questione con un netto: «Noi siamo garantisti. Io spero soltanto che tutte queste polemiche siano fuori dalla Mole». Che poi è la sede del museo. Ghigo non dice altro se non che «verrà a premiarlo il sottosegretario Sgarbi».
Fine. E la parola torna a chi ha voce in capitolo per protestare. A chi va dritto senza paura. «Trovo estremamente salutare questo dibattito che ci permettere di mettere in discussione anche figure come Spacey. Il motivo? In Italia, su questi temi, siano ancora molto indietro. Lo sa che abbiamo avuto registi esteri condannati al loro Paese che qui da noi hanno trovato chi li produceva lo stesso. Ecco, questo è un termometro della maturità del nostro Paese». Lo schiaffo, ancora una volta, lo tira Cinzia Spanò.
Alle sette di sera Steve Della Casa, critico storico del cinema, direttore del Torino Film Festival prova a stemperare le polemiche con una battuta: «Questi sono discorsi da treno, scontati e pretestuosi. Lui qui parlerà di Oscar, di arte e di cinema. Il resto non conta: vale la presunzione di innocenza». Quindi avanti così? «Non è mettendole le persone in un angolo che si risolve il problema. Se si usa questo metro allora non si potrebbe parlare nemmeno con Polanski o Woody Allen». —