Corriere della Sera, 12 gennaio 2023
Il truffatore degli invalidi
Al Parlamento europeo a parlare dei diritti dei macrolesi in incidenti stradali. A Roma in un sit-in di protesta con molti invalidi sotto l’Autorità di vigilanza sulle assicurazioni. In tv e sui giornali come esperto del settore. E del resto Raffaele Gerbi, 56 anni, romano, fondatore di uno studio di consulenza e mediazione, va comprensibilmente fiero di poter vantare «le 5 posizioni di maggior valore mai liquidate in Europa dalle compagnie assicurative ai gravi invalidi di incidenti stradali per la necessità di essere assistiti per tutta la vita».
Ma i giudici di Milano ordinano di sequestrargli in via preventiva fino a 40 milioni di euro (30 a lui, e il resto a 12 coindagati e società a lui riconducibili) perché l’accusano d’aver truffato proprio quel genere di vittime vulnerabili in almeno 20 maxi transazioni con le assicurazioni negli ultimi tre anni, facendosi retrocedere sino al 70% dei 68,5 milioni di danni liquidati dalle compagnie ai suoi clienti.
Una «truffa» – se è corretta la qualificazione del gip Cristian Mariani sul lavoro della Gdf e del pm Carlo Scalas con l’aggiunto Laura Pedio – ancor più insidiosa perché paradossalmente alla luce del sole, attraverso l’asimmetria informativa nei «patti di quota lite». Sono accordi con i quali un legale o un consulente propone al cliente un obiettivo di risarcimento rispetto al caso concreto (ad esempio 500.000 euro) sotto il quale si assume tutti gli oneri e spese, in cambio del poter invece incamerare tutta o gran parte della somma eventualmente ottenuta in più nella transazione. Il punto, però, per gli inquirenti che valorizzano intercettazioni e testimonianze di 8 famiglie di invalidi, è che il cosiddetto «gruppo Gerbi», nel momento in cui ad esempio prospettava a un cliente mezzo milione di realistico risarcimento, gli taceva che (sulla base dei parametri e delle prassi transattive con le compagnie) il realistico risarcimento sarebbe potuto essere (e in effetti finiva poi davvero per essere) di 4 o 5 milioni. In questo che la Cassazione chiama «silenzio malizioso» (e che celava anche il fatto che Gerbi già ottenesse correttamente dalle compagnie il pagamento dei connessi suoi onorari professionali pari in genere al 10%) risiederebbe la truffaldina induzione in errore di così vulnerabili vittime di incidenti. Le quali, sfruttate nella «condizione di minorata difesa per le lesioni psicofisiche gravissime» e per «l’essere sprovviste di conoscenze giuridiche», avrebbero quindi riportato perdite patrimoniali «di straordinaria gravità per le loro vite bisognose di interventi chirurgici e assistenza perpetua»: perdite pari alla «macroscopica differenza tra quanto in concreto percepito dalle vittime a titolo di risarcimento del danno e quanto invece sarebbe loro spettato senza quegli svantaggiosi patti di quota lite», fatti loro sottoscrivere al buio da quella che gli inquirenti qualificano «associazione a delinquere». Coordinata per il gip da Gerbi, sotto il quale per la GdF c’erano procacciatori di clienti in Lazio e Campania, curatori delle pratiche, e due bancari a gestire i conti fatti aprire alle vittime in Fideuram e Bper (dove sono in corso un’indagine interna di Intesa e un’ispezione di Bankitalia).
La difesa
«Associazione a delinquere? No, niente trucchi, e anzi patti migliorativi per i clienti»
In questa inchiesta la Procura (ieri in conferenza stampa per la firma con il presidente del Coni Malagò di un protocollo sui reati dei tesserati sportivi) non ha invece ravvisato l’«interesse pubblico» normativamente necessario per comunicare il sequestro, operato addirittura a metà dicembre e già confermato dal Tribunale del Riesame. Qui i difensori (tra cui Astolfo D’Amato, Mattia Di Mattia, Vinicio Nardo, Daniele Ripamonti, Gianluca Tognozzi) per contestare l’accusa di truffa hanno prospettato l’assenza di trucchi nei patti di quota lite proposti ai clienti, patti a loro avviso anzi assai migliorativi dei target ventilati ai clienti da precedenti avvocati; rimarcano che i bonifici di retrocessione a Gerbi di parte dei risarcimenti fossero firmati dai clienti; e ritengono l’imputazione sovrapponibile a quella per la quale il 15 giugno 2022 un altro gip, Carlo Ottone de Marchi, aveva negato misure cautelari. Rigetto superato, per il gip Mariani, dalle perizie medico-legali svolte nel frattempo, le quali escludono frodi con le compagnie e attestano effettività delle lesioni e congruità dei risarcimenti trattati da Gerbi.