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 2023  gennaio 12 Giovedì calendario

Così muore un coscritto russo

Alexey Prostakishin è sopravvissuto sei giorni, non di più. Aveva 44 anni, una moglie e due figli ed era stato reclutato il 29 settembre in un villaggio nella Transbaikalia non lontano da Mongolia e Cina. Il 4 ottobre era già morto nel Donetsk, primo coscritto di Vladimir Putin a cadere.
Come lui altri fra i rastrellati di settembre non sono andati oltre il 4 ottobre. Non c’è riuscito Andrei Pichuyev, 38 anni, una moglie e due figli – ex volontario in Cecenia – portato pochi giorni prima da un villaggio della Buriazia, una repubblica asiatica di cultura mongola. Falciato all’arrivo in Ucraina anche un altro buriato, Dmitry Sidorov, meccanico con una faccia da bambino di 23 anni. E sempre il 4 ottobre finisce nel sangue anche la guerra di Alexey Roik, un doganiere di 36 anni appena portato là da Cita, nell’Estremo Oriente russo.
Venivano tutti, studiatamente, da lontanissimo. Un’analisi di Mariya Vyushkova, russa di etnia buriata, esperta di calcolo quantistico al centro di ricerca computazionale dell’Università di Notre Dame a Silicon Valley, mostra come la mobilitazione voluta dal Cremlino sia più ampia di quanto ammesso ufficialmente e stia producendo migliaia di vittime. Vyushkova fa emergere anche che la rete a strascico del regime è caduta sulle province remote dell’Est e dell’Artico, dove eventuali proteste preoccupano meno il Cremlino. Ad esempio la Chukotka, un angolo dell’estremo oriente artico, ha già pagato con i suoi coscritti un tributo di sangue decine di volte più alto della media russa. Non a caso le minoranze ora iniziano a reagire. Il leader dell’Associazione dei popoli indigeni che include gli allevatori di renne della Chukotka, Andrey Krivoshapkin, chiesto «un approccio obiettivo alla mobilitazione» perché – ha detto – «è necessario preservare il patrimonio genetico dei nostri popoli».
Esiste in Russia una rete clandestina che, dai necrologi nei giornali locali o dai post su social media russi come Telegram, VKontakte o Odnoklassniki, tiene ogni giorno il conto dei caduti. Vyushkova è in contatto con i volontari e ordina i dati. Dal 24 febbraio la rete ha contato 11 mila russi morti in guerra, 541 solo fra i coscritti di fine settembre. I caduti in realtà sono però molti di più – calcola Mariya Vyushkova – perché alcuni restano ufficialmente «dispersi» e di questi il necrologio non è mai stato scritto. Fra i coscritti devono esserci circa 1.500 caduti, nell’esercito russo almeno 22 mila: una stima in linea con quella dell’intelligence di Londra che, fra morti e feriti, calcola in 100 mila uomini le perdite militari russe.
Non è difficile intuire da vari indizi che i morti sono molti più di quelli ricordati sui media locali o sui social. La rete clandestina ha contato molte più tombe fresche di giovani in divisa nei cimiteri di provincia della Federazione russa. E il 2 dicembre la televisione ufficiale della Buriazia – benché filo-governativa – ha fatto sapere che la «commissaria ai diritti umani» della provincia aveva ricevuto già 656 lettere da famiglie che non hanno più notizie dei loro congiunti al fronte: dispersi probabilmente perché morti e lasciati lì, sul terreno. E già solo il numero di quelle richieste è doppio rispetto ai 300 caduti buriati stimati fino a quel momento attraverso il conto dei necrologi. Probabile dunque che il numero reale dei coscritti morti sia triplo rispetto a quelli che è possibile contare.
Alcuni del resto non sono neanche arrivati vivi al fronte. Vladimir Potanin, 46 enne della regione dell’antica Ekaterinenburg, cinque giorni dopo la chiamata si è suicidato nella sua base militare. Il 39 enne Sergei Fedoseenko di Vladivostok, non lontano dalla Corea del Nord, è misteriosamente deceduto mentre era nelle mani della polizia per essersi ribellato al reclutamento poche ore prima.
Di sicuro i militari di leva sembrano essere più dei 300 mila dei quali parla il regime. Secondo Mediazona, un sito indipendente, la mobilitazione di settembre ha rastrellato circa 450 mila uomini. Lo si desume dal numero dei matrimoni in autunno, triplicati rispetto alle medie stagionali soprattutto nelle province remote ad alta intensità di reclutamento: migliaia di coscritti hanno sposato le conviventi, per lasciar loro qualche diritto civile in più prima di rischiare la vita al fronte. Oggi Vyushkova stima che in ottobre il 18% dei caduti russi fosse fra i coscritti, ma in novembre erano già saliti al 25%. Per dicembre non sono ancora apparsi i necrologi, dunque non ci sono le stime sugli uomini massacrati dai missili di fine anno a Makiivka.
Di certo non basteranno 1.500 reclute massacrate nel tritacarne del Donbass a creare un clima di rivolta nella società russa che fermi il Cremlino. La mobilitazione continuerà. Le chiamate decise fin qui però hanno già messo in guardia le imprese: i dati dei cacciatori di teste mettono in evidenza che da mesi quelle preferiscono assumere donne o anziani. Hanno smesso di offrire contratti agli uomini, perché poi tanto la guerra rischia di portarseli via.