la Repubblica, 12 gennaio 2023
Ritratto di Alex Sabbadini
Uno dei miei supereroi da piccola si chiamava Alex Sabbadini. E lo era anche per i miei cuginetti della grande Sabbadini family. Un motivo c’era. La sua è una storia bellissima, dipanatasi in quegli anni di barbarie fascista e nazista. Lui, mio zio, era per tutti noi il liberatore dell’Italia, il liberatore della nostra grande famiglia. Quello che di fronte alla tragedia si è impegnato in prima persona per il suo Paese e la sua gente, mettendo a rischio la sua vita. La sua è stata una grande avventura.
Nel 1938 il governo fascista vara le leggi razziali, tutti gli ebrei vengono perseguitati, espulsi dal settore pubblico, dalle scuole, dalle università, i bambini messi in classi differenziate. Non che negli anni precedenti avesse fatto di meglio, il regime fascista ben prima del 1938 aveva avviato la sua feroce politica razzista. Alex in quanto ebreo viene cacciato dall’esercito italiano dall’oggi al domani. Decide di scappare.
Nel 1939 si imbarca a Napoli per l’America per paura che intervenissero nuove restrizioni a uscire dal Paese, puntualmente varate poco tempo dopo la sua partenza. Arriva negli Usa dopo dieci giorni di traversata, a Ellis Island, e ci rimane per quattro giorni in attesa di tutti i controlli da parte delle autorità americane. Finalmente riesce a entrare e si reca dalla sorella, che abitava a New York.
Ma ha un disegno in mente, chiaro e nitido, vuole entrare nell’esercito americano per liberare l’Italia e la sua famiglia. Decide di mettere in gioco se stesso, non vuole assistere passivamente alla barbarie che avanza. Riceve due rifiuti, veniva consideratoenemy alien.
Ci ironizzava, si trovava a essere persona non gradita, né in Italia, né in America. Ciò che purtroppo succede non raramente agli ebrei. Ma poi la spunta, si unisce alla 5 armata Usa per liberare l’Italia e, con essa, la sua famiglia, con cui aveva perso tutti i contatti.
È questa cosa che ci colpiva, a noi cuginetti che ci riunivamo tutte le estati nel villino di famiglia a Nettuno, il villino Silvia, dal nome della mia bisnonna, la mamma di Alex. Ebbene, il soldato Alex partecipa allo sbarco di Anzio e dove approda? A 200 metri dal villino Silvia, dove anche lui per tanti anni aveva passato le sue vacanze. E dove noi bimbetti scavavamo nell’orto, molti anni dopo, alla ricerca, fortunata spesso, di reperti di guerra. Elmetti, proiettili, di tutto trovavamo. Anche forchette e coltelli con le svastiche.
Alex voleva liberare l’Italia, il suo Paese e la sua famiglia dai fascisti e dai nazisti. Era G-2 intelligence officer e aveva un compito preciso, documentare tutto quello che trovava nei posti di comando nemici, raccogliere informazioni dai prigionieri, fotografare tutto ciò che potesse essere prezioso per il prosieguo della guerra, ma anche per il post guerra. Raccogliere tutti i documenti trovati. Documentare la barbarie nazifascista e dialogare con i partigiani. Era la persona giusta, visto che conosceva bene l’italiano. E così prima va in Nord Africa, poi sbarca in Sicilia, poi a Salerno, e poi prende parte allo sbarco di Anzio. Ma non solo. Arriva anche alla villa sul lago di Garda da dove Mussolini era appena scappato, lasciando oggetti personali, documenti a iosa, libri.
Gli americani puntavano a catturare Mussolini prima dei partigiani, ma non ci riuscirono. Entrava per primo in tutti i posti di comando fascisti e nazisti per garantire che tutta la documentazione non andasse distrutta. Arriva anche a Mauthausen, campo di sterminio vicino Innsbruck. Terribile. Ed è proprio lì che ebbe la grande notizia, la guerra in Europa era finita. Era l’8 maggio del 1945. Erano passati solo sei anni da quando si era imbarcato per gli Stati Uniti. Di documenti ne ha raccolti tanti. Scambi epistolari e telegrammi tra Mussolini e Hitler, tutti donati all’Holocaust Museum di Washington, insieme alle innumerevoli foto scattate. Il 14 settembre scorso all’ambasciata italiana di Washington si è svolta la cerimonia del passaggio dell’archivio di famiglia. Presente Roger Sabbadini, il figlio, che ha anche scritto un libro su questa bellissima storia, Unavoidable Hope,l’ambasciatrice Mariangela Zappia, Natalia Indrimi del Centro Primo Levi.
Alex è un simbolo di riscatto e di riscossa degli ebrei italiani. E io da piccolina riflettevo e imparavo. Avrebbe potuto rimanere negli Usa e aspettare la fine della guerra, mi dicevo. Ha sentito il dovere di agire per il bene di tutti. E in questo mi e ci ha dato una lezione di vita. Dentro ognuno di noi c’è un piccolo Alex che sa mettere davanti al suo personale interesse, l’amore per la sua famiglia, per la sua gente, per la democrazia e la libertà. Bisogna solo trovarlo. E farlo viverenella quotidianità.