Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  gennaio 12 Giovedì calendario

Intervista a Mohsin Hamid

Al suo risveglio Anders, uomo dalla pelle bianca, scopre nel letto il braccio di un estraneo. Nello specchio vede un uomo dalla pelle marrone che lo fissa impaurito. È sempre Anders, ma con la pelle bruna. Nei mesi a seguire anche la compagna, i colleghi e gli estranei diventano tutti “marroni”.
Qualcuno si suicida, altri nascondono la pelle, le milizie degli ultimi bianchi organizzano linciaggi, razzie, violenze.
Tutto inutile perché la trasformazione melaninica, che ricorda quella del ragazzo-scarafaggio Gregor Samsa neLa metamorfosi di Franz Kafka, si propaga in maniera totale. Ecco l’impianto de L’ultimo uomo bianco (Einaudi) dell’autore pakistano-britannico Mohsin Hamid, che dalla sua casa di Lahore ci parla del razzismo che fa da sfondo a questo racconto fantastico.
L’ambientazione è anonima.
Persecuzioni e suprematisti farebbero pensare all’America…
«Ho creato questa ambiguità per lasciare spazio interpretativo ai lettori. Gli americani mi dicono che è ovvio che siamo in Scandinavia o in Sudafrica, mentre gli europei dicono subito: America. Troppo comodo interpretare l’ambientazione in un luogo lontano da noi…».
Però il razzismo si declina in maniera diversa nei due continenti, no?
«Sì, in America c’è una tradizione razzistica più intima, in Europa più elusiva. L’America ha vissuto una colonizzazione interna con l’importazione di schiavi per i lavori forzati nelle piantagioni. In Europa, l’esperienza viene vissuta come qualcosa di remoto. Ciò che è accaduto nel Congo belga, pur essendo un’esperienza senz’altro orrenda,in Europa viene percepito come qualcosa di distante. Gli europei dicevano: qui a casa abbiamo la democrazia, l’eguaglianza, la fratellanza, tutte queste belle cose, poi, altrove, trattiamo chi ha la pelle scura come subumani. In America, questa scissione non era possibile: innegabile che lì il razzismo sia onnipresente e letale. L’Europa crede di potersi sganciare da quel destino storico, ha meno disponibilità ad ammettere la presenza del razzismo. Nella vita quotidiana ciò significa che in America il razzismo è ovviamente orrendo, terribile e disgustoso, ma anche innegabile. L’Europa è vittima di una cecità a causa del concetto che le colonie non esistono più e tutto è a posto.
Poiché le minoranze che sono in Europa vengono da quelle ex colonie, la Storia non è mai finita, continua fino a oggi».
In Europa c’è il convincimento che il concetto di razza sia inesistente. Negli Usa c’è un utilizzo politico della razza, addirittura con la richiesta burocratica di auto-identificare l’appartenenza razziale, tesa a compensare la discriminazione.
«Sì, negli Usa l’atteggiamento èrace forward,proattivo, per rendere più difficile negare il razzismo. Il sistema spinge verso soluzioni razzializzate. In Francia, dove per legge si rifiuta il concetto di razza, è più difficile che le soluzioni siano razzializzate, ed è meno facile che vi siano interventi contro il razzismo. Condivido l’idea che la razza sia un’illusione, ma se c’è chi crede in quell’illusione, l’idea ha comunque potere.
Si può dire che la religione è un’illusione, ma ciò non risolve il problema in Irlanda del Nord, o nei Balcani. Ciò su cui questa gentesi misura non ha alcun fondamento nei fatti, ma la realtà concreta è che queste persone si comportano come se queste cose fossero vere, e quindi la situazione acquista potere. Non basta dire “la razza è un’illusione” per fermare il razzismo».
Lo scrittore James Baldwin diceva che gli americani non riescono a superare il razzismo a causa della maledizione della schiavitù, come suggerisce anche lei.
«È vero che negli Stati Uniti continuano a verificarsi crimini orrendi nei confronti degli afroamericani, ma ci sono stati molti cambiamenti. Negli anni Sessanta, Malcom X diceva che bisognava proteggere le minoranze perché gli afroamericani non sarebbero mai stati integrati. Martin Luther King sosteneva invece che si deve trascendere l’illusione della razza. Oggi prevale di nuovo la posizione di Malcom X.
Per millenni nel Sudest asiatico la gente dalla pelle più scura ha convissuto con quella con la pelle più chiara. Qui non si è sviluppato il modello del genocidio europeo nei confronti delle razze, come in America o in Australia. Si è creato invece un sistema di gruppi con forme di autogoverno, applicando leggi specifiche per ogni gruppo. L’America del 2023 è più simile al Sudest asiatico. Ora la questione è chi può dire cosa e come ogni gruppo rappresenta sé stesso. L’idea che apparteniamo tutti a un insieme si è indebolita. La tribalizzazione prevale in America ed Europa, ma anche qui in Pakistan, e in India».
Il suo romanzo evoca l’intreccio delle razze, dove, nel tempo, tutti avranno la pelle con qualche sfumatura di marrone.
Per i razzisti è un incubo, per altri utopia.
«La società oggi è in preda alla paura dell’intreccio delle razze, radicata nel terrore di perdere la nostra cultura,tradizione e lingua. La razza è solo uno degli elementi di quell’insieme di idee che ci collega a quello che pensiamo di essere stati “prima”, concetto molto potente per tante ragioni. Una di queste è che l’accelerazione dei cambiamenti crea ansia. Nel contempo viviamo una dislocazione economica, migrazioni di massa e l’invecchiamento della popolazione. In Occidente oggi c’è più gente di mezza età o anziana che giovani.
Così la società è sempre più preda di desideri nostalgici per i “bei tempi”.
Quando la cultura della nostalgia diventa dominante, un demagogo annuncia: possiamo tornare indietro a come le cose erano! Voltiamo le spalle al futuro!
Dobbiamo far assomigliare il futuro molto di più al passato! Il futuro è così spaventoso, ovvio che tornare indietro sembri rassicurante. Trump, i Brexiters, Modi, Putin, tutti questi leader dicono: il futuro fa paura, torniamo indietro! E ciò ipnotizza la gente. Ma il passato è stato più orribile di come lo dipingono. E tornare indietro è impossibile. Assurdo, poi, cercare di tornare a un passato che non è mai esistito. Noi narratori di storie dobbiamo descrivere un futuro desiderabile. I romanzi danno all’umanità la possibilità di immaginare. È quello che ho cercato di fare nei miei due ultimi libri,Exit West,dove la migrazione diventa globale, eL’ultimo uomo bianco, dove tutti diventano dello stesso colore. Questi romanzi si chiedono: davvero il futuro è un’apocalisse? E se fossimo tutti migranti e tutti marroni? Che male ci sarebbe?».