la Repubblica, 12 gennaio 2023
Il declino della sinistra
Qualcuno, tra il serio e il faceto, ha proposto alla direzione del Pd di adottare la “piattaforma Rousseau”, dovendo votare online alle primarie. Si tratta, come è noto, dello strumento messo a punto e utilizzato dai Cinque Stelle, gli inventori non tanto del voto online, quanto dell’uso politico del web applicato a un assetto partitico in via di disgregazione. Riproporlo oggi da parte di una corrente del Pd, in particolare quella di Elly Schlein, significa adottare anche sul piano simbolico i metodi della forza concorrente. E non fa molta differenza il compromesso che identifica le diverse circostanze in cui quella votazione è ammessa. Con il ricorso al web – in apparenza il massimo della democrazia, in pratica il definitivo superamento del partito novecentesco – si può sognare di raggiungere milioni di potenziali votanti che non sarebbero tali se si chiedesse loro lo sforzo di arrivare al gazebo e di esprimere la preferenza secondo il metodo tradizionale. Tuttavia la realtà finora ha smentito queste rosee speranze: la via “grillina” alla democrazia integrale ha prodotto candidati che hanno raccolto poche centinaia, al limite pochissime migliaia di voti online, per essere poi considerati semplice massa di manovra dai vari Grillo, Conte e Di Maio (finché è stato della partita).
Eppure la tormentata decisione del Pd sul sistema di voto interno merita d’essere valutata con attenzione per il semplice motivo che si tratta di un esempio clamoroso, ma anche emblematico, di auto-dissoluzione di una forza che fino a poco tempo fa ambiva a guidare il centro-sinistra e il Paese. Oggi quella stessa forza è indicata nel sondaggio più recente al 14 per cento. È ormai distanziata di oltre tre punti dal suo principale concorrente, il M5S di Conte, che si appresta a fagocitarla, e osserva da lontano i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, i quali sono accreditati, se si votasse oggi, di oltre il doppio dei suoi voti.
Con ogni evidenza, finire sui giornali quasi soltanto per i litigi sul voto online e sulla data delle primarie non è il modo migliore per risalire la china e rappacificarsi con gli italiani. Ma c’è anche chi pensa, per un disperato bisogno di voltare pagina, che dopotutto è meglio così: solo un naufragio completo, dopo la definitiva rinuncia alla politica, può aprire la strada a una nuova stagione. Benché in un primo tempo questa nuova stagione finirebbe per fare dei 5S i padroni del campo. Eppure, “meglio una fine nell’orrore che un orrore senza fine”: come dicevano i guerriglieri tedeschi che all’inizio dell’Ottocento davano filo da torcere alle armate di Napoleone. In realtà lo scenario rischia di essere ancora più confuso.
L’amalgama tra popolari, cioè democristiani di sinistra, e post-comunisti non è mai riuscito bene, salvo forse nella breve stagione di Prodi.
Veltroni, con il famoso discorso del Lingotto, aveva tentato di andare oltre, nel segno di un riformismo che doveva abbracciare le varie tradizioni italiane e tradursi in un partito “a vocazione maggioritaria” secondo i modelli anglosassoni. Sappiamo come è a ndata.
Oggi, mentre il Pd si consuma nelle risse interne, le vecchie componenti post-comuniste e cattolico-popolari tendono a dividersi di nuovo. Ad esse si è aggiunta una corrente che non può definirsi “filo-grillina”, ma che adotta strumenti di azione politica derivati dal grillismo (e oggi dal “contismo”) quasi senza rendersene conto. La disgregazione può portare a una scissione, come molti prevedono. Tuttavia protagonisti e comprimari sono mescolati, in diversi casi la pratica del potere è stata più forte dei richiami ideali ed è difficile dividere le fazioni con una linea retta. A parlare del lavoro che non c’è e dovrebbe esserci è rimasto quasi solo Cuperlo, candidato non certo favorito. E i fautori di “Un nuovo inizio laburista”, l’iniziativa di Ceccanti, Bentivogli, Morando, Nannicini e altri che viene discussa oggi a Milano.