Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  gennaio 12 Giovedì calendario

Una vita da reality

Non c’importa più di niente che non somigli a un reality o che non possa almeno diventare una serie tv. Un articolo come questo – ma capisco questo, figuriamoci, diciamo un articolo di Joseph Stiglitz – se non finisce per qualche insondabile motivo su TikTok (che ci spia? TikTok è al soldo dell’intelligence cinese? Vabbè pazienza, è così divertente. Accetta e continua) ecco, se qualcuno non ci fa un meme, quel testo scritto è destinato a essere letto da trentaquattro persone tutte già informatissime, la microbolla che fa sì sì con la testa. Trentaquattro fino in fondo, lo leggono. Un centinaio vedono il titolo e le figure, un migliaio lo screenshot sui social di “Anemone pelosa” che a prescindere da quel che c’è scritto, dice: vergognatevi, rosiconi.
È un vero peccato, perché un’opinione pubblica chiamiamola fragile, povertà e privilegi che lievitano come nel Sudamerica del secolo scorso, e parecchio anche di questo. La destra tonica assai, la sinistra e qualsiasi forma di opposizione scomparse: beh, non ci sarebbe da stupirsi se andasse a finire male, presto o tardi. Le Capitol Hill si moltiplicano, il rifiuto tracotante e violento del voto popolare – quando non ti conviene – è già modello. I populismi è un attimo che te li trovi a battere i pugni sul tavolo con mascella volitiva e folla plaudente giù in piazza. Ma insomma, non è che non voglia parlarvi di Harry o della mamma finlandese – temi trend topic del momento in attesa di Sanremo: bisogna stare sul pezzo, arrivo fra un minuto.
Lasciate però che vi racconti prima che mi sono di recente appassionata, con immenso ritardo, all’Effetto Dunnig-Kruger (EDK, per gli scienziati) una «distorsione cognitiva» in base alla quale «individui poco esperti e competenti in un campo, tendono a sovrastimare la propria preparazione giudicandola a torto superiore a quella altrui e individui competenti, al contrario, tendono a dubitare del loro sapere». Chi non sa, è convinto di sapere, chi sa dubita. Ecco spiegata coi grafici e gli istogrammi, codificata nei manuali, la ragione per cui fra un sedicente esperto in geopolitica e un vero studioso ha sempre la meglio il primo, in tv e purtroppo non solo: la gente si riconosce nella sicumera apodittica dell’impostore, il vero saggio dubita, questiona. Sa di non sapere abbastanza quanto l’altro presume di sapere ogni cosa: non è altrettanto efficace, nel talk show cronofago in cui se parli più di un minuto sei prolisso. Del resto già in Shakespeare: il saggio sa di essere stupido, è lo stupido che crede di essere saggio. Senza offesa per nessuno, è una citazione: mi è tornata in mente perché Harry parla parecchio di Shakespeare nelle interviste, rende atto a suo padre di esserne esperto – dovranno studiarlo bene a scuola gli inglesi tutti, immagino, re compreso. Del successo dello spettacolo assai ben remunerato che il principe reietto fa della sua vita credo che qualcosa abbia radice nel fatto che si sia installato nel nostro immaginario da tv della domenica pomeriggio il fatto che se non hai avuto un’infanzia difficile, se non ti sei riabilitato dalla violenza, dalla sopraffazione delle periferie estreme, dalla prostituzione giovanile o dall’abuso di sostanze: beh, non hai titolo per essere uno di noi, uno del popolo. Non puoi esibire la rinascita, la redenzione. Non ti potranno intervistare con aria dolente, applaudire il tuo «percorso di riscatto» da quando parlavi solo in dialetto e tua madre andava a servizio dai signori a ora, che sei una star da prima serata. Aver avuto un’infanzia tranquilla è circostanza da espellere dalle biografie, non fa audience. Poi: quello è un principe, viveva nella reggia, non è che si possa paragonare a tuo cugino ma pur sempre la madre è morta, poveretto, il padre aveva un’altra e il fratello lo picchiava. Vabbè.
Non ci lasceremo senza aver parlato del sistema scolastico siciliano di cui si occupa, dopo la denuncia della famiglia finlandese, anche la Cnn. Due le notizie dall’Italia nei palinsensti internazionali: la morte del Papa emerito e la faida in Vaticano, padre Georg sicuro protagonista di un’imminente serie HBO, e la famiglia di artisti e nomadi digitali che si è trasferita a Siracusa ma avendo trovato molto traffico, classi affollate, scuole prive di giardino e professori che alzano la voce e parlano un inglese approssimativo ha ritenuto di tornare verso casa. Premessa: hanno ragione i finlandesi. La scuola italiana (non so quella siciliana, la assimilo) è un miracolo retto dalla buona volontà di chi ci lavora, sottopagato. È un fatto che manchino non dico i giardini ma i cortili, le palestre, spesso le aule e a volte i tetti. È sicuro che gli insegnanti destinati al corso di inglese essendo magari docenti di geografia che si acconciano alla dislocazione abituale del personale possano non avere le competenze di un madre lingua. Per non parlare del fatto che in classi sovraffollate se non alzi la voce proprio non ti calcolano: non è un metodo didattico, è disperazione. Gesticolano, infanti e adulti, e talvolta i ragazzi si spintonano senza che uno psicologo di plesso intervenga, perché non c’è. Tutto sbagliato. Tutto da migliorare. Però va anche detto che se vivi in Finlandia, la cui intera popolazione (cinque milioni e rotti) è pari a due volte la capienza del solo Circo Massimo a Roma, e decidi di trasferirti in Sicilia probabilmente perché viverci costa meno, si mangia meglio, c’è il sole tutto l’anno e rispetto ai tuoi standard termici non devi accendere il riscaldamento nemmeno a febbraio, ti sarà chiaro che vai a vivere in un Paese più popoloso e assai più povero del tuo, dove ci sono più macchine per strada che a Helsinki per la ragione di cui sopra, c’è parecchia più gente in giro: fai i conti dei pro e contro prima.
Intendo dire che conosco tanta gente che è andata a godersi la pensione in Portogallo dove non paga tante tasse come qui ma lo sapeva da prima che non c’è il ponentino, la Scala di Milano né l’amico medico a cui chiedere una ricetta sottobanco. Con tutto il rispetto per gli amici finlandesi e con la piena consapevolezza dei limiti indiscussi del sistema scolastico, sanitario, logistico del nostro Paese: paese che vai, eccetera. Informarsi bene prima.
Poi certo: tendere agli standard di civiltà nordiche è un sogno, un obiettivo politico-sociale. Bene, i temi della settimana sono esauriti. Il dibattito pubblico attende nuovi stimoli. Un altro maschio protervo in una relazione padronale tossica, una bella lite fra influencer meglio se una bionda e una bruna, qualsiasi cosa ci consenta di mettere like o pollice verso alla distrazione del giorno pur di non parlare, santo cielo, di politica. La politica è finita, non interessa a nessuno. È andata così, e non è stato un caso. È stato un disegno. Ma questa sarebbe un’altra storia, lunga e noiosa. Restiamo nel trend topic, e che dio ce la mandi buona. —