La Stampa, 12 gennaio 2023
Racconti dal carcere di Evin
Non sono abbastanza spesse, le mura del carcere di Evin, da coprire «i suoni della tortura», che diventano torture essi stessi. Ma nemmeno per impedire ai prigionieri di ascoltare «il suono di una rivoluzione» e «i clamori di “Donna, vita, libertà” che oggi sono più forti di quelli nelle stanze degli interrogatori» e che riecheggiano come «passi della liberazione da tutto l’Iran». Nel quarto anno della sua prigionia, l’attivista iraniana Sepideh Qolian ha testimoniato in una lettera le brutalità e gli abusi sessuali subiti da lei e da altri detenuti. Un messaggio in bottiglia raccolto e raccontato dalla Bbc.
Le atrocità riservate ai prigionieri politici più resistenti per estorcere confessioni forzate con cui corroborare le sentenze di pena capitale si accompagnano alle minacce di ulteriori efferatezze e di morte per indurre i famigliari a tenere la bocca chiusa sulla situazione dei loro cari in carcere. Ma gli argini della deterrenza per mezzo della paura non bastano a trattenere il flusso di rivelazioni che circolano attraverso canali social e informazioni raccolte dagli attivisti, nel Paese e in diaspora, in quella che è considerata la più lunga serie di manifestazioni anti-regime e la più seria crisi politica in Iran dai tempi della rivoluzione islamica del 1979.
Per gli attivisti per i diritti umani della HRANA, almeno 519 manifestanti – tra cui 69 minori – sono stati uccisi negli scontri con la polizia e oltre 19 mila arrestati. Molti di quelli rinchiusi in carcere rischiano o sono già stati condannati alla pena capitale. A determinare il loro destino, processi senza assistenza legale e confessioni estorte sotto tortura. Gli attivisti, gli avvocati e i media che sollevano e denunciano a decine questi casi si scontrano con le autorità che negano ogni irregolarità.
Come quelle contestate dalla famiglia di Alireza Akbari, ex viceministro della Difesa iraniano ai tempi della presidenza del riformista Mohammad Khatami e condannato a morte da una Corte Rivoluzionaria di Teheran nel 2019 sulla base di accuse di spionaggio in favore del Regno Unito. La moglie Maryam è stata convocata in carcere per «un ultimo incontro» prima dell’imminente esecuzione. Ha così deciso di rivolgersi ai giornalisti della Bbc Persian per diffondere la registrazione di un messaggio attribuito al marito in cui Akbari dice d’essere stato torturato e forzato a confessare di fronte alla telecamera crimini «mai commessi».
Nella sua lettera dal carcere di Evin, Qolian, l’attivista dalle ciocche colorate di capelli sotto il velo, ricorda il suo stesso interminabile ed estenuante interrogatorio che l’ha indotta in uno stato di «semi coscienza» a leggere una confessione come fosse una «sceneggiatura» a favore di telecamera. Sulla base di quella registrazione estorta nel 2018, quando era stata arrestata per aver sostenuto lo sciopero e la protesta dei lavoratori in una fabbrica di zucchero nella provincia iraniana del Khuzestan, la ragazza, oggi 29enne, è stata condannata a cinque anni di carcere. E racconta ancora, nella lettera, che lei, insieme con altri ragazzi e ragazze che stanno portando avanti gli studi durante la prigionia, sono sottoposti, nelle aule dove sostengono gli esami, in un silenzio di solito carico di tensione, all’ascolto di grida inquietanti che trapassano i muri e giungono dai torturatori e dai torturati.
Nel dicembre del 2022, Narges Mohammadi, attivista che sta scontando una pena detentiva di 34 anni, ha fornito ai media un resoconto dettagliato degli abusi sessuali subiti in carcere dalle donne arrestate durante le recenti proteste. E in un’intervista all’Ansa il 33enne ballerino dissidente iraniano «Leo», nome d’arte di Mikaeil Alizadeh, rifugiato in Turchia dal 2015 dopo avere subito violenze e pressioni in Iran a causa della sua identità di genere, ha denunciato la disperata situazione della sorella di un amico, una diciottenne arrestata in Iran per aver lanciato bombe molotov contro edifici governativi durante le proteste. «Ha implorato la madre di portarla via dalla prigione, dice che ogni giorno viene stuprata e non solo da una persona ma da molte», ha raccontato Leo in lacrime. «Sono in contatto con le famiglie dei dimostranti che sono stati arrestati. Non possono fare niente. Non possono permettersi di parlare pubblicamente delle vicende dei loro figli e delle loro figlie – ha aggiunto -, stanno in silenzio perché il governo lo impone, dicono “se parlate uccideremo vostro figlio"».
Nel breve colloquio di ieri pomeriggio al Quirinale, tra il presidente Sergio Mattarella e il nuovo Ambasciatore della Repubblica Islamica dell’Iran Mohammad Reza Sabouri per la presentazione delle Lettere Credenziali, il capo dello Stato ha sollecitato il capo della missione a rappresentare presso le autorità iraniane l’urgenza di porre immediatamente fine alle violenze rivolte contro la popolazione. —