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 2023  gennaio 12 Giovedì calendario

Benedetto Croce senza segreti



C’era bisogno di una nuova, compiuta biografia sul grande filosofo, dopo quella, troppo datata, stesa da Fausto Nicolini nel 1962. Ecco dunque una corposa, anzi imponente, rievocazione di Benedetto Croce, dalla nascita sino al termine della prima guerra mondiale. Nonostante le dimensioni, si tratta del primo volume, perché un altro ne seguirà.




Onore al merito di chi ha assunto l’impresa di affrontare un personaggio dalle plurime attività, fornito di una biblioteca di 68mila volumi e 20mila opuscoli ed estratti, che ebbe ben 6.000 corrispondenti, con un carteggio di oltre 100mila unità, esclusi allegati, documenti, minute e copie.


Gli scritti su Croce raccolti in prima persona dal filosofo coprono quasi un centinaio di faldoni, con circa 16.700 ritagli di stampa, articoli, opuscoli ed estratti. Un’impresa, dunque, quasi senza paragoni, tale da scoraggiare chiunque volesse accedervi. E poi, ci sono i tanti volti di don Benedetto: erudito, storico, epistolografo, filosofo, politico, ministro, amministratore, critico… La sua presenza fu quasi senza paragoni nel Novecento, vuoi italiano vuoi europeo.


L’autore, ordinario d’italianistica a Strasburgo, è un attento specialista del pensiero politico italiano nel Rinascimento, massimamente esperto del Machiavelli. Di Croce aveva già curato il carteggio con Karl Vossler. Se il lettore cerca «la personalità individuale, la psicologia, il carattere, la vita privata, gli episodi e gli aneddoti che a questi aspetti si legano e li illustrano», eccolo accontentato, senza mai dimenticare, tuttavia, lo spessore culturale e civile del biografato. Emanuele Cutinelli-Rendina ha dovuto soprattutto operare un lavoro di scelta, di discrimine, di pulizia, compulsando tanto ma proprio tanto, specie rifacendosi a quello che Croce fece. Il filosofo «non ha distrutto nulla, ma con singolare sistematicità ha lasciato dietro di sé, e ha disposto affinché si tramandasse nel tempo una quantità eccezionale di materiali suscettibili di essere utilizzati” da un biografo. È quindi stata necessaria un’intrapresa che tenesse conto della «straordinaria abbondanza di documentazione».






Partito come storico ed erudito essenzialmente napoletano, Croce trasmigrò progressivamente a filosofo dalla stima internazionale, senza però chiudere col proprio periodo trascorso. Identico fu per le relazioni, che non vennero cassate per il passato, semmai diminuite, mentre altre furono ovviamente ampliate. Il nome che maggiormente incise in lui rimane Giovanni Gentile, il quale, come emerge chiaramente dal carteggio (non esiste paragone con altri scambi epistolari nell’intera storia italiana), influì su Croce accostandolo a nomi quali Marx, Vico, Hegel.


Progressivamente se ne distaccò sul piano schiettamente filosofico, salvo dal 1925 a causa di una frattura politica e personale mai ricomposta, con conseguenze che ancor oggi si pagano sul piano culturale (quanto c’è voluto perché gli eredi Croce concedessero la pubblicazione di un’unica raccolta epistolare!). Croce aiutò Gentile sotto molti aspetti, partendo da sostegni economici, ma ne fu ripagato, fra l’altro, con una superba collaborazione a La Critica, per metà letteraria (Croce), per metà filosofica (Gentile). Gentile si rivelò successivamente come il più grande organizzatore di cultura mai vissuto nella penisola e occupò dopo Croce il ministero dell’Istruzione, rivelandosi l’uomo giusto al posto giusto, per ammissione dello stesso Croce.






In Croce il distacco ebbe inizio essenzialmente con il sorgere di una scuola gentiliana. Intorno al filosofo, allora schietto suo amico, si formò un grumo di giovani studiosi, a poco a poco in crescita, com’era inevitabile per un docente universitario, per di più dello spessore di Gentile. Croce avversava i discepoli gentiliani, avvertendone una volontà di spaccare i rapporti fra i due maestri di cultura, a tutto vantaggio del professore (non a caso Giuseppe Prezzolini finì col prediligere il siciliano, riconoscendone il «lievito» per i giovani).


Inoltre Croce detestò, per la sua intera esistenza, le università, rese ancor più malviste per le vicende negative occorse proprio a Gentile. Non sostenne esami in alcun ateneo, pur se una laurea onorifica come quella oxoniense era un’eccellente attestazione del suo rango anche accademico. Da notare che alcuni aspetti nel suo carattere indicano una rigidezza inattesa: la rottura con Gentile, il passaggio all’antifascismo dopo essere stato «un fascista senza camicia nera», l’opposizione a Gabriele d’Annunzio, prima ancora come letterato che come uomo d’azione.


Una curiosità che merita di essere citata, traendola dal mare magnum della biografia di Cutinelli-Rendina, è il Croce locutore. Fu «brillantissimo conversatore ma mediocre conferenziere e pubblico oratore; quando non poteva fare a meno di evitare l’esercizio, leggeva un testo preparato». Viene da ricordare l’altro dioscuro del liberalismo novecentesco, Luigi Einaudi, scrittore di chiarezza davvero cartesiana ma oratore faticoso e impacciato. Di Croce si può sentire il discorso alla Costituente contro il trattato di pace, quando condannò i processi ai vinti, praticati da «tribunali senza alcun fondamento di legge» e proclamò: «Noi italiani abbiamo perduto una guerra, e l’abbiamo perduta tutti». Erano compresi coloro che la deprecarono, che furono perseguitati dal regime, perché «la guerra sciagurata, impegnando la nostra Patria, impegnava anche noi, senza eccezioni».


Emanuele Cutinelli-Rendina, Benedetto Croce. Una vita per la nuova Italia, vol. I (1866-1918), Aragno ed.