il Fatto Quotidiano, 12 gennaio 2023
Quanto è grande “Il naso” di Gogol’ e altri pettegolezzi
Gogol’ tormentato dalle sanguisughe (applicate al grande naso) sul letto di morte. Gogol’ girato su un fianco dentro alla bara (scoperchiata dopo anni) come se l’avessero sepolto vivo, suo terrore espresso nel testamento. Gogol’ omosessuale (gomoseksual in russo) in quanto scapolo e poco incline a narrare l’universo femminile. Gogol’ afflitto da mania di persecuzione e per questo viaggiatore ossessivo-compulsivo. Gogol’ ipocondriaco. Gogol’ affetto da emorroidi. Gogol’ ucraino represso oppure patriota russo reazionario. E persino Gogol’ scambiato per Google da Berlusconi.
La figura tormentata, sarcastica e urticante del grande scrittore non ha pace. Come in vita così post mortem. Oggi le sue opere, soprattutto quelle ambientate in Ucraina, vengono ristampate per via dello scenario bellico. In Italia l’editore Edup ha ripubblicato i Racconti ucraini, Coppola ha licenziato le Leggende ucraine, Piretti sforna Taras Bul’ba e Abeditore ripropone Vij, un lungo racconto da cui è stato tratto il primo film horror sovietico nel 1967. Inoltre, nel 2021, Anna Bonaiuto ha letto per Emons Audiolibri Le anime morte. E Aragno ha da poco dato alle stampe Non siate anime morte, una serie di riflessioni di impronta soprattutto spirituale, inedite in Italia.
Nato nell’attuale Ucraina, allora Malorossija, “Piccola Russia”, in una famiglia della nobiltà terriera, Gogol’ è l’autore che dà il via alla grande stagione ottocentesca del romanzo russo. In altre parole quanto di meglio ha avuto la Russia, e cioè la letteratura in prosa, si deve a un ucraino. I suoi testi, scritti in russo, vengono oggi tradotti in Ucraina e anche il nome viene ucrainizzato in Mikola (anziché Nikolaj), un po’ come da noi una volta Leone invece di Lev (Tolstoj). La denominazione di origine ucraina per la letteratura russa è in qualche modo certificata. Dostoevskij avrebbe pronunciato la famosa frase: “Siamo tutti usciti da Il cappotto di Gogol’”. Ma come osserva Nabokov, è Il naso il racconto che più lo rappresenta. Anche perché, in tutte le memorie, Gogol’ viene descritto come dotato di un naso da uccello, grosso e affilato, e dunque la novella omonima sarebbe autobiografica.
Finanche la più celebre opera di Gogol’, Le anime morte, segna allo stesso tempo – per stare in linea col tormento – l’apoteosi e il fallimento dell’autore. La prima parte, secondo uno schema dantesco, rappresenta un viaggio all’inferno ed è l’unica sopravvissuta perché la seconda è stata data alle fiamme e la terza mai scritta. Altro che “i manoscritti non bruciano” come si legge nell’ultimo grande classico della letteratura russa, Il Maestro e Margherita. A volte bruciano e forse meglio così. Ormai sprofondato in una dimensione profetica e messianica, nel cui solco si inserirà Tolstoj, Gogol’ ha perso l’ispirazione letteraria e pensa a entrare in un monastero o a procurarsi in qualche altro modo la grazia divina. Di salute cagionevole e fisico fragile, si priva del cibo e muore a Mosca nel 1852, nonostante i tentativi di salvarlo con le sanguisughe e altre assurdità mediche che ne accelerano probabilmente la fine. Ma quanto c’è scritto nella prima parte, l’inferno, basta a rendere Le anime morte uno dei libri fondamentali per penetrare nell’anima russa: pigrizia, smodatezza, corruzione e quella tendenza a lanciarsi a tutta velocità da qualche parte, anche se non si sa bene dove, come si legge nel finale in cui lo spregevole protagonista scompare nella trojka (carrozza a tre cavalli, ndr) che lo porta al galoppo chissà dove. È un libro molto più citato che letto e andrebbe usato nelle scuole di scrittura perché nel suo geniale delirio rappresenta la destrutturazione di un canone romanzesco: ripetizioni, personaggi che appaiono per un attimo e scompaiono per sempre, struttura a blocchi, descrizioni dettagliate apparentemente inutili. Oggi verrebbe massacrato dagli editor.
Se la grandezza del Naso è, con Nabokov, una chiave di volta per capire Gogol’, la grandezza e la monotonia del paesaggio russo con la gogoliana “angoscia della distesa infinita” è un elemento fondamentale per comprendere la Russia. Lungi dal placare la sete di conquiste, l’estensione del Paese più grande del mondo produce effetti sull’anima degli abitanti e in particolare dei governanti che sono affetti da slanci incontrollati e smanie di grandezza, ma devono fare i conti con una storia e una geografia che li ha tenuti spesso ai margini.