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 2023  gennaio 11 Mercoledì calendario

Intervista a Giuseppe De Rita

«Questa Destra è impreparata a governare. E i suoi elettori, la piccola borghesia, le periferie, le corporazioni che non hanno votato sui programmi ma soltanto come onda di opinione, hanno scoperto di essere impreparati alle delusioni della Politica. La benzina che aumenta perché tornano le accise, il carrello della spesa che sfora tutte le previsioni, la povertà che avanza. L’Italia di chi ha votato Giorgia Meloni oggi è questa: politici che devono imparare la complessità proprio mestiere e un pezzo del Paese che teme di essere stato ingannato».
È l’immagine acuta, lucidissima e amara che Giuseppe De Rita, il più grande sociologo italiano, classe 1932, fondatore e a lungo presidente del Censis, disegna di questi primi mesi di legislatura. Definendo questa “doppia impreparazione” la «malattia del corpo sociale della Destra».
Siamo già alla delusione degli elettori di Giorgia Meloni, professor De Rita?
«In parte sì. Gli aumenti pesano seriamente sulla vita delle famiglie. Pensate ai dietrofront sulla benzina, sul Pos, sui rapporti con l’Europa, sulle pensioni. Governare non è fare campagna elettorale, è gestire la complessità. Parola che in questi tempi non piace a nessuno. Del resto anche Meloni non fa più proclami, ha abbassato i toni».
Crede che questa delusione si trasformerà in protesta?
«Non ancora. Perché la rabbia si condensi ci vuole un obiettivo, un’ideologia. E chi ha votato questo governo non è ideologico, è un popolo variegato che ha scelto sull’onda emotiva dei propri interessi. Come era avvenuto sei anni fa per i grillini. Gli italiani di Destra mugugnano davanti alla pompa di benzina, ma non scendono in piazza.Siamo in una stasi depressiva. L’onda emotiva però è una mia preoccupazione».
Si fonda sugli slogan mentre governare è altra cosa?
«Esattamente. Questi partiti di Destra non hanno un apparato, non hanno una scuola di politica. Arrivano al Governo basandosi sui sondaggi e poi devono trattare con il Fondo Monetario Internazionale, devono decidere sulla guerra in Ucraina. Su misure che poi toccano il nervo vivo della società. Ma non è un talk show».
Impareranno a governare?
«Spero di sì. Così come forse i loro elettori impareranno ad aspettare.
Con una differenza sostanziale: i primi sono in Parlamento, con uno stipendio assicurato, gli altri fanno i conti con la nuova povertà».
Nostalgia della prima e della seconda repubblica?
«Di certo avevamo politici più preparati. Pensi sia ai comunisti che ai democristiani. Mi sono sorpreso iostesso a rimpiangere partiti che avevano strutture forti, non soltanto leader. L’ultimo in grado affrontare la complessità del governare è stato Draghi. Ma una parte dell’Italia, quella che ha votato questa Destra, voleva parole d’ordine semplici.
Pagare meno tasse o la libertà di non vaccinarsi anche se il Covid continua a fare vittime. Per poi rendersi conto che si trattava, inevitabilmente, di promesse».
Intanto siamo sempre più poveri. Il latte ha sfondato la soglia dei due euro, così la pasta, il pane.
«E adesso benzina e diesel. Una povertà che intacca sempre di più anche la classe media. Al di là del carrello della spesa, che era già in salita prima che Meloni diventasse premier, è il prezzo dei carburanti, indicatore strategico per gli italiani, la prima vera delusione degli elettori di Destra».
Come fosse insomma un brutto risveglio di chi ha votato
unicamente sull’onda emotiva?
«Con i proclami mica si fa la legge finanziaria, si convince l’Europa sui nostri conti, si nomina il presidente del Consiglio di Stato o si gestiscono migrazioni epocali. Nella comunicazione politica oggi tutto è declinato come nei talk show, uno contro l’altro che si urlano senza mai produrre un pensiero. Una modalità che sta contagiando addirittura la Chiesa. Non a caso Bergoglio l’ha definito un tragico chiacchiericcio. Però, non è sempre stato così. Anche io, da giovane, negli anni Cinquanta facevo parte di parte di quei giovani che ritenevano bastasse la propria opinione per governare».
Ci racconti quell’Italia De Rita.
«Facevo parte del gruppo di giovani che si ritrovavano nel pensiero di Ugo La Malfa, con l’idea di portare al governo la spinta delle élites culturali che credevano in una certa modernizzazione del Paese, dove la cultura politica aveva un ruolo dominante. In parte questo è avvenuto. Oggi l’opinione sono soltanto urli».
Addirittura nella Chiesa, professor De Rita?
«Da buon cattolico, domenica scorsa, come ogni domenica, sono andato a messa. E con stupore ho letto nel bollettino della parrocchia il resoconto di un incontro sulla guerra che si era tenuto proprio lì. Avevano invitato chi era a favore e chi era contro la guerra in Ucraina. Ma la Chiesa ha la sua voce, il suo magistero, non ha bisogno di talk show».
De Rita, se i prezzi non calano, se le tasse non scendono, quanto ci metteranno gli italiani ad arrabbiarsi con la Destra che hanno votato?
«Due anni. Tempo massimo. E sarebbe già un record per la politica italiana»