la Repubblica, 11 gennaio 2023
Paragoni fuori posto
Uno degli argomenti più euforizzanti, per la destra più spiccia, è sostenere che “tutti gli italiani sono stati fascisti”, salvo diventare antifascisti, a tempo debito, per propria comodità. Se poi ad avere indossato la camicia nera sono i bei nomi dell’antifascismo, l’euforia raddoppia.
Effettivamente c’è una illustre e non piccola lista di protagonisti della Repubblica antifascista che sortivano, soprattutto per ragioni anagrafiche, dal fascismo. Ne sortivano, appunto: erano stati ragazzi sotto il regime. Ci erano nati dentro. Avevano studiato in quelle scuole, con quei maestri.
Circostanza che non impedì a parecchi di loro, per irrequietudine personale e sotto i colpi della storia – le leggi razziali, lo sconquasso della guerra, l’occupazione nazista – di diventare antifascisti.
Perfino nei Guf (Gruppi universitari fascisti) ci furono forti tracce della fronda giovanile contro il regime. È arcinoto che tra gli iscritti al Guf ci furono alcuni tra i più illustri protagonisti della successiva rinascita democratica, etica e culturale dell’Italia: da Carlo Azeglio Ciampi a Giorgio Napolitano (due presidenti della Repubblica, uno azionista, uno comunista), e poi Renato Guttuso, Pietro Ingrao, Giorgio Bocca, Mario Alicata, Rocco Scotellaro, Giorgio Strehler, Ernesto Treccani, Giovanni Testori, Carlo Lizzani, Eugenio Scalfari. Breve sintesi (mia) di un elenco lunghissimo di “fascisti da giovani”. Ampiamente noto, e consegnato agli archivi.
Mi scuso per il lungo preambolo, necessario per passare dalla storia alla cronaca. Non possiamo sapere se la sortita del candidato di destra alla Regione Lazio, Francesco Rocca, su Eugenio Scalfari, faccia parte di questa polemica, che per quanto scontata e spuntata ha pur sempre una propria ragione politica.
Oppure sia solamente il guizzo volgare, e infelice, di un candidato che fatica a difendersi dal fuoco amico, e dunque cerca di dirottarlo sul nemico.
Lasciamo giudicare ai lettori. Ha detto Rocca: “Alla sinistra che utilizza lo strumento della macchina del fango, mi permetto di ricordare che nel 1942 Eugenio Scalfari militava nel Partito Nazionale Fascista, e rispetto a quando ha fondato Repubblica è passato un periodo più breve rispetto a quello che è passato dal mio errore di gioventù”.
Degli errori di gioventù di Rocca (spaccio di stupefacenti) è giusto che si interessi soprattutto il fronte proibizionista, che politicamente lo spalleggia compatto: vedi i paradossi della storia. Da antiproibizionista di lunga data, e senza voler coinvolgere il mio giornale, mi limito a fare presente a Rocca che lo spaccio, e il ruolo spropositato che la criminalità ha assunto nella gestione degli stupefacenti, è una diretta conseguenza del proibizionismo. Lo considero una vittima – una delle tante – del proibizionismo. E non gli imputo, della sua gioventù, altro che la gioventù e l’inesperienza. Ne discuta dunque, il candidato Rocca, con i suoi sostenitori e alleati. È a loro che deve renderne conto. Sono loro che vorrebbero “buttare via le chiavi” per chi finisce nei guai per la droga.
Quanto al cosiddetto errore giovanile di Scalfari, i tre primi paragrafi di questo articolo, spero non troppo pedanti, servivano per dare un minimo di cornice storica agli eventi. Diciamo, per usare lo stesso metro cronologico di Rocca, che tra l’iscrizione di Scalfari al Guf e i settantacinque anni di successiva attività, vigorosamente antifascista, la proporzione è abbastanza evidente. Diciamo: schiacciante. Scalfari ha fatto e scritto, in favore della democrazia italiana e dunque dell’antifascismo, più di quanto Rocca potrebbe fare per il post-fascismo, che è la sua parte politica, se vivesse, come gli auguriamo di cuore, fino a centovent’anni. Se questo giornale, per scelta di Scalfari, si chiama la Repubblica, qualcosa vorrà pure dire.