La Stampa, 11 gennaio 2023
Caso Orlandi. Intervista a Giancarlo Capaldo
«Credo che Emanuela sia entrata, con l’ingenuità dei suoi quindici anni, in un gioco troppo più grande di lei. Ritengo che sia stata sequestrata a fini di ricatto e poi riconsegnata da Renato De Pedis a qualcuno inviato dal Vaticano. Temo che, successivamente, sia morta». L’allora procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo ha indagato sulla scomparsa della figlia del commesso della casa Pontificia, andando poi in rotta di collisione con il suo capo Giuseppe Pignatone (oggi presidente del tribunale del Vaticano) quando nell’aprile del 2015 comunicò di voler chiedere l’archiviazione del procedimento.
Il Vaticano ha aperto un’inchiesta a 40 anni dalla scomparsa. Si arriverà alla verità?
«Lo spero, ma lo ritengo improbabile. La verità è un concetto astratto, ha tante facce e non tutte presentabili. Alcune possono essere digerite solo dalla Storia. È comunque un segnale forte che il Vaticano, inaspettatamente, sua sponte, apra per la prima volta un’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela».
Lei ha indagato per quattro anni come titolare dell’inchiesta e altri tre dopo che Pignatone aveva avocato il fascicolo, qual è la sua amarezza più grande?
«Ho avuto libertà di indagare solo dal luglio 2008 al marzo 2012. La mia amarezza più grande è stata quella di essere arrivato a un punto di svolta e non essere riuscito a realizzarla per l’intervento di forze sconosciute, anche se individuabili».
Cosa intende dire?
«Sono individuabili per chi vuole capire cosa è accaduto, intelligenti pauca».
Il procuratore capo Pignatone avocò a sé l’indagine per chiedere e ottenere sino in Cassazione l’archiviazione, contro il suo parere. Lei quali altri approfondimenti avrebbe compiuto?
«Mi sono opposto all’archiviazione, spiegando che dovevano essere espletati ancora molti interrogatori e approfondite le circostanze della scomparsa di numerose altre ragazze».
All’epoca della sua indagine, il Vaticano aveva un altro atteggiamento?
«Vorrei sperare che l’iniziativa del Vaticano oggi non continui a essere coerente con il suo atteggiamento di sempre, tendente a mantenere un profilo basso. A suo tempo avevo intravisto una voglia di cambiamento che poi non si è verificato».
Lei ha mai chiesto o ottenuto collaborazione da loro?
«Avevamo iniziato un percorso comune che, purtroppo, si è interrotto in modo brusco e poco chiaro. I fatti mi fanno concludere che, nel corso degli anni, il Vaticano non ha mai realmente collaborato con la magistratura italiana nel caso Orlandi».
Monsignor Ganswein dice che ha frainteso la visita dell’allora capo della gendarmeria Domenico Giani e del suo vice Alessandrini in procura. Per lei si era aperto un confronto sul procedimento, una sorta di “trattativa” mentre il segretario privato di Benedetto XVI afferma che la riunione si tenne solo per traslare la salma di De Pedis dalla tomba nella cripta di sant’Apollinare al cimitero di Prima Porta a Roma. Chi ha ragione?
«Non voglio certo entrare in polemica con monsignor Ganswein. Aggiungo solo che, non essendo io dotato di grande fantasia, difficilmente posso aver frainteso la visita dei gendarmi inviati dal Vaticano, soprattutto perché solo successivamente all’incontro hanno sciolto la loro riserva».
Ci furono altri incontri?
«No, il canale di comunicazione con il Vaticano si interruppe».
Della sua indagine qual è la più grande amarezza?
«Scoprire che, più spesso di quanto si creda, si ha paura della verità».
Lei ha interrogato molte volte Marco Accetti, l’uomo che nel 2013 si era autoaccusato dei sequestri di Mirella Gregori e di Emanuela Orlandi. È un mitomane?
«È un personaggio complesso che non può essere liquidato solo come mitomane. Conosce bene l’ambiente vaticano ed ecclesiastico. Non ritengo però che abbia avuto un ruolo nella vicenda Orlandi, se non quello di inserirsi in vario modo, dopo la scomparsa della ragazza, per mitomania o per confondere le acque».
Cos’è accaduto a Emanuela?
«Credo che sia entrata, con l’ingenuità dei suoi quindici anni, in un gioco troppo più grande di lei. Ritengo che sia stata sequestrata a fini di ricatto e sia stata riconsegnata da De Pedis a qualcuno inviato dal Vaticano. Temo che, successivamente, la povera Emanuela sia morta».
Qualcuno in Vaticano sa la verità o è passato troppo tempo?
«È passato molto tempo, ma credo che all’interno del Vaticano vi siano ancora persone che conoscono la verità, alcune direttamente e altre indirettamente. E conoscere la verità, con particolari dettagli, per taluni è stato decisivo nella carriera».
Il Vaticano è artefice o parte lesa di questa vicenda?
«Come spesso accade nella vita, la vittima è anche carnefice: questo potrebbe essere accaduto anche al Vaticano».
Qual è il fatto più inquietante accaduto durante la sua inchiesta?
«Sono moltissimi. Per correttezza non è questa la sede per esporli».
Perché si interruppero gli scavi sotto la basilica di sant’Apollinare?
«Non mi risulta che gli scavi nella cripta siano stati interrotti. Sono stati eseguiti, seguendo una certa logica e sono terminati quando ritenuti ragionevolmente superflui».
Verrà mai fuori la verità?
«Me lo auguro, ma credo che sia molto difficile ancora per molti anni. Spero solo che la famiglia possa ritrovare il corpo della ragazza per raggiungere l’unica pace possibile con la preghiera».
Chi ha fatto sparire Emanuela ha fatto sparire altre ragazze? Se sì, quali?
«Non avendo trovato i responsabili della scomparsa di Emanuela Orlandi, non posso concludere che siano responsabili anche della scomparsa di altre ragazze. Posso però sottolineare che non mi sembra priva di significato la circostanza che, nel 1983, siano scomparse a Roma decine di ragazze dell’età di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori. Queste scomparse sono rimaste senza un perché. Come ho detto, mi è sembrato un motivo importante che avrebbe dovuto spingere a non chiudere frettolosamente il dossier delle ragazze scomparse». —