Il Messaggero, 11 gennaio 2023
Nel 2022 nati ancora in calo. Crollo tra Lazio e Umbria
Nessuna inversione di rotta. I numeri provvisori del 2022 confermano il costante calo della natalità in Italia. Un calo che diventa crollo in particolare nelle Regioni centrali del Paese. E che avvalora in pieno lo scenario disegnato dalle previsioni Istat di lungo periodo: con meno nascite e maggiore longevità (di per sé un’ottima notizia) e in assenza di un incremento dei flussi migratori regolari il nostro Paese è destinato a cambiare pelle nei prossimi decenni. Nel 2050 gli italiani con 65 anni e più saranno oltre un terzo della popolazione complessiva: oggi sono meno di un quarto, negli anni Settanta del secolo scorso erano poco più del 10 per cento. L’impatto sarà pesante sull’economia, ma anche su alcuni servizi essenziali come la scuola.
Nel 2021 sono nati in Italia circa 400 mila bambini: meno della metà rispetto al milione abbondante del 1964 e il 30 per cento in meno rispetto al picco relativo toccato nel 2008. La tendenza negativa è stata ancora più pronunciata nel Centro Italia (-34,3%). Per il 2022 sono disponibili i dati provvisori relativi ai primi dieci mesi, che indicano un’ulteriore diminuzione di quasi novemila bimbi rispetto allo stesso periodo del 2021; ma se a livello nazionale la variazione negativa è del 2,6 per cento, la percentuale sfiora il 6 per cento al Centro: per effetto dell’andamento delle aree appenniniche ma anche di quello della città di Roma.
MENO GENITORI POTENZIALI
A consuntivo, il numero dei nati nell’anno che si è appena chiuso dovrebbe attestarsi intorno a quota 390 mila. Gli sforzi per invertire la tendenza devono fare i conti con la complessità del problema, che non ha una soluzione unica e va affrontato contemporaneamente in ambiti diversi (dagli aiuti pubblici alla stabilità del lavoro, con un impegno anche delle imprese e della società nel suo insieme); ma soprattutto con la realtà inesorabile dei numeri che - per effetto del declino demografico dei decenni scorsi - proiettano nel futuro un numero di genitori potenziali sempre più basso.
Gli effetti sono già visibili. La scuola nei prossimi dieci anni è destinata a perdere circa 1,4 milioni di alunni, con conseguente necessità di riorganizzarsi. Il calo generale della popolazione (poco più di 54 milioni di residenti nel 2050, meno di 48 nel 2070 secondo le previsioni Istat) rischia di provocare la desertificazione di intere aree del Paese, quelle più interne e montane, con conseguenze negative anche sul fronte ecologico per la mancata tutela del territorio. Le aziende, che già lamentano carenza di personale specializzato, dovranno fare i conti nei prossimi anni con difficoltà ancora crescenti, il che spinge diversi imprenditori a sollecitare un ricorso governato all’immigrazione. La platea degli anziani di domani, pensionati e utenti del servizio sanitario, farà affidamento sul lavoro e sui versamenti contributivi della fascia attiva della popolazione, che però si assottiglia sempre di più. La sostenibilità dello Stato sociale insomma non è garantita. Il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo ricorda spesso che in assenza di novità questi andamenti provocheranno quasi meccanicamente una contrazione del prodotto interno lordo di circa 500 miliardi al 2070.
Il lato in qualche modo positivo di questa trasformazione è la presenza di una schiera sempre più numerosa di anziani in relativa buona salute, più benestanti di quelli del passato e tendenzialmente pronti a sostenere i consumi (anche culturali), a spendere e a viaggiare. È la sfida della silver economy, che però richiede una buona capacità di adattamento del sistema produttivo ed anche dei servizi pubblici. Una sfida destinata ad andare di pari passo con quella ardua di attenuare - quanto meno - i rigori dell’inverno demografico. Che altrimenti non potrà che essere un inverno del nostro scontento.