la Repubblica, 16 ottobre 2022
Intervista a Laika, «attacchina» - su "Life is (not) a game" di Antonio Valerio Spera
Le sue armi sono un secchio di colla e una scopa, il suo linguaggio - crudo, diretto, ironico e irriverente - l’ha fatta conoscere già nel mondo, i media stranieri la chiamano "Banksy italiana", con i suoi poster su Zaki e Regeni, sul Covid e sulla violenza sulle donne si è fatta conoscere in questi ultimi tre anni. Laika, street artist romana o come preferisce essere chiamata attacchina ("come quelli dei bandoni elettorali"), è protagonista del documentario di Antonio Valerio Spera Life is (not) a game, presentato alla Festa di Roma nella sezione Freestyle, un’immersione nel mondo di questa artista che ha scelto l’impegno anche attraverso la sua identità nascosta dietro una maschera bianca e una parrucca rossa. Le parliamo al telefono.
Perché un film?
"Quando il regista, che seguiva il mio lavoro, mi ha fatto la proposta non ho avuto molto tempo per pensare. Ero titubante, lavoro nell’anonimato, il cuore del mio lavoro sono i blitz, momenti rapidi oltre il limite della legalità, poi l’idea di un film sul mio lavoro mi faceva un po’ sorridere. Sono un’artista giovane nel senso che Laika è attiva da poco più di tre anni, ma a un certo punto mi sono detta perché no? È un modo per diffondere ancora di più il mio messaggio. Antonio e la troupe si sono immersi nel mio mondo con delicatezza e non mi hanno fatto mai sentire il peso del film, anzi sono riusciti a cogliere dei momenti del mio lavoro che neppure io, agendo così in fretta e furia, ero riuscita a cogliere".
Life is (not) a game, a un certo punto del film questa parola assume un significato preciso che riguarda i migranti e i respingimenti dove per "game" si intende il tentativo di passare la frontiera. Credo però che abbia anche un valore più universale che parla del suo lavoro e il suo impegno.
"Il titolo viene dal mio progetto che è centrale nel film e che riguarda i ’game’ dei migranti e il nostro viaggio in Bosnia, soprattutto per loro la vita non è un gioco, però il titolo è anche l’essenza di Laika stessa. Il fatto di raccontare la vita e l’attualità e ciò che accade nel mondo in un modo che può sembrare un’attività ludica, un gioco, che però un gioco non è, fa parte del mio modo di lavorare. E anche i toni ironici e irriverenti che uso per affrontare argomenti importanti, anche se ultimamente sempre più arrabbiata".
Ha parlato dell’ironia. Tra tanti poster duri e drammatici ce ne sono alcuni anche leggeri, penso al trasloco di Mattarella
"Il presidente Mattarella è una figura dolce. Avevo cominciato a occuparmi di lui con un’immagine in cui si vedeva con i capelli lunghi dopo il siparietto con Giovanni e il ciuffo ribelle che in un momento tragico e di preoccupazione come quello della pandemia ci ha permesso un sorriso, ci ha regalato qualche secondo di leggerezza. Poi con l’opera del trasloco ho immaginato come doveva essere la sua vita in quel momento, ho immaginato un presidente sull’orlo della pensione richiamato al Quirinale e così l’ho ritratto a rincorrere il camion dei trasporti e a dire ’tornate qui, mi rivogliono’".
Il film si apre con la ristoratrice cinese dell’Esquilino e si chiude con i rifugiati della guerra in Ucraina con il suo appello perché vengano accolti. Come è cambiato il suo lavoro in questi anni e quanto reputa politico, nel senso che possa cambiare le cose, il suo lavoro?
"Che il lavoro si sia evoluto non ci sono dubbi, sono un’artista emergente. È tutto un divenire a livello tecnico e artistico, mentre a livello politico io ho una coscienza politica e sociale di cui sono abbastanza consapevole. Vivo la politica come parte della mia quotidianità, prima ero più ironica e leggera, oggi sono più arrabbiata. E poi Laika ha cominciato a mangiarsi la mia vita, ora mi capita di essere Laika ventiquattro ore al giorno per sette giorni. Per quel che riguarda i miei progetti, e in particolare quello sui migranti, non ho la presunzione di cambiare le cose. Però con i miei poster, come con il lavoro degli altri artisti che si impegnano, riusciamo a far luce o riportare la luce su argomenti importanti con una comunicazione immediata che si può trovare ovunque, magari passeggiando in maniera spensierata, un inciampo visivo che può stimolare il dibattito e serve a tener viva la coscienza perché le menti non si atrofizzino".
Sui migranti c’è stato anche il murales per Soumaila Sacko, il bracciante ucciso in Calabria. Come è nato quel progetto così diverso dai blitz?
"I diritti umani, sociali e civili sono quello che mi interessa affrontare con il mio lavoro. Ho deciso di fare un muro intanto per sperimentare, per mettermi alla prova e poi era importante per me che quell’omaggio rimanesse. Volevo mettere una vittima del caporalato davanti a un mercato (in via Efeso, nel quartiere San Paolo, sul muro del Mercato Ostiense, ndr) in modo che le persone che tutti i giorni fanno la spesa lo vedessero, vedessero quest’uomo che spreme un pomodoro nel pugno, un pomodoro quasi insanguinato e si chiedessero perché è lì quell’immagine. Con i miei ragazzi abbiamo fatto un grande lavoro di comunicazione mentre lo realizzavamo, io un po’ meno ovviamente e di questo mi sento in colpa, ma gli operatori del mercato, le persone del quartiere ci hanno accolto benissimo, c’è stato un grande lavoro di sensibilizzazione. Una signora anziana ci ha offerto il caffè per tutta la lavorazione, i ragazzi stavano di giorno, io andavo di notte e lei non mi ha mai fatto mancare il suo caffè. Aver realizzato una cosa così grande e duratura, una delle mie poche cose che resistono, mi ha dato grande soddisfazione".
Ha fatto tanti lavori dalla parte delle donne, da quello sulla legge che liberalizza l’aborto in Argentina a quello dedicato alle donne afghane. Si reputa una femminista?
"Assolutamente sì. Ci sono anche altri lavori come quello sul caro assorbenti con la tassa al 22% e quello su cosa si prova in quanto donne a tornare a casa alla sera, il tema della violenza e della parità salariale per le donne sono temi che sento molto vicini. Siamo nel 2022 quasi 2023 e ancora costretti a leggere ogni giorno notizie terribili: tra morti sul lavoro e femminicidi non so quali hanno la maggiore incidenza. Sono schieratissima, ci sono tante lotte da portare avanti".
Facciamo un passo indietro. Ha scelto il nome Laika per il primo essere vivente nello spazio
"Sì, sono affascinata dallo spazio sia inteso come puntare in alto, essere ambiziosa e poi per l’idea di portare sempre più lontano il mio messaggio. Le cose dallo spazio vengono viste in modo più chiaro, un concetto che ho rubato a Italo Calvino e alle sue Città invisibili. Mi piaceva l’idea del primo essere umano sulla luna e poi Laika ricorda anche Leica la prima macchina fotografica, un mezzo che amo, io faccio tanta ricerca fotografica e iconografica, prendo ispirazione dal lavoro dei fotografi, fa parte del mio lavoro".
Molto identitaria è anche la sua immagine: la maschera, la parrucca rossa. Come è nato quel look?
"La maschera bianca è stata pensata, volevo un volto neutro per ripudiare ogni tipo di rappresentazione, canone estetico tradizionale quindi la maschera è un filtro che preserva la mia vita di tutti i giorni e mi permette di essere irriverente e andare in giro a dar noia. Ci tengo a tenere le due vite separate. Mentre la parrucca rossa fa colore, spezza quel bianco neutrale, scelgo di vestirmi quasi sempre di bianco e arancione è dovuto al fatto che nella notte spicca. Sebbene poi quando io faccio i miei blitz non sono vestita quasi mai così se no mi beccano, i guai possono arrivare comunque. Ci sono momenti in cui - come si dice a Roma - mi sono dovuta dare, momenti di tensione..."
Da quando è nata Laika la sua fama è cresciuta molto. È contenta anche per questo di conservare l’anonimato?
"A questo aspetto non avevo ovviamente pensato all’inizio. Non avrei mai creduto di arrivare a sfilare sul tappeto rosso della Festa di Roma per esempio, io sarò acchittatissima come si dice a Roma, porteremo un po’ di street art sul red carpet. Il fatto di tenere separato tutto questo mi permette di essere più serena anche nella mia produzione artistica. Non è un caso che molti artisti e artiste impegnate sono anonimi, è strettamente collegato al fatto di essere schierati ed efficaci. Forse sono paranoica ma Sharm El Sheikh non è sicuramente una meta di vacanza per me, in Egitto avrei un po’ di paura ad andare".
La stampa straniera l’ha definita la Banksy italiana. Chi sono i suoi artisti di riferimento?
"Essere paragonata a Banksy è un grandissimo onore, magari. Chi produce arte produce valore e arricchisce chi gli sta intorno, io mi arricchisco del lavoro dei miei colleghi. Ho dei riferimenti e ovviamente Banksy è un punto di riferimento essenziale, per quel che riguarda i miei poster se potessi rinascere vorrei essere Mimmo Rotella, grandissimo maestro della carta. Poi ci sono artisti e artiste italiani che guardo da Maupal che disegna il Papa in tutte le salse a Tvboy, alle Superdonne di LeDiesis".
Esiste una sorta di rete fra voi street artisti o l’anonimato ve lo impedisce?
"Io sono un po’ un pesce fuor d’acqua. Molta gente ’del giro’ non si capacita da dove io sia uscita fuori. Ho una comunicazione filtrata con alcune colleghe e alcuni colleghi ma non vado a fare pubbliche relazioni ai vernissage, purtroppo".
Come sarebbe il suo lavoro senza i social?
"Diverso sicuramente. I social nel periodo del lockdown sono stati importanti e sono protagonisti di questo periodo storico anche troppo. Cosa faccio io su Instagram sembra che non basti mai e non so proprio come fanno gli influencer che vivono con il telefono in mano. È fondamentale perché il web ha una diffusione velocissima e incredibile che porta il messaggio alla velocità della luce, è un mezzo di cui non posso fare a meno".
Di cosa vive un attacchino? La sua arte comincia a diventare sostenibile?
"È un’attività che sta cominciando a diventare sostenibile anche se esistono sempre delle spese importanti, i viaggi in Bosnia ad attaccare un pezzo di carta o ai confini con l’Ucraina sono stati costosi. Vengo criticata per la mia scelta di commercializzare le opere ma non sono figlia di un industriale per cui devo finanziare il mio lavoro".
"La mia dichiarazione di guerra l’ho fatta quando sono usciti i risultati elettorali. Non sono per niente contenta e con la scelta di Fontana sono in lutto perché è uno sputo contro la comunità Lgbtq+ ma non mi dilungo. Avrò molto da lavorare, c’è sempre molto da lavorare anche se cambiano i governi. Questo però è sicuramente il governo che più lontano a me potesse esserci".