la Repubblica, 10 gennaio 2023
Ritratto di Flavio Ferrari Zumbini
Sfidare i campioni del poker, riuscire a batterli nei più importanti casinò di tutto il mondo, vincere persino un sacco di soldi. Emozioni difficili da dimenticare, ma vuoi mettere un colpo di pistola che sibila a venti centimetri dalle tue orecchie? E finire nel bel mezzo di una guerra fra tribù rivali in Libia? Flavio Ferrari Zumbini, due lauree a pieni voti, già dirigente della Ferrero, poi campione di Hold’em e aspirante tour operator, adesso ci scherza su. Ma quella pallottola in Yemen, nazione numero 157 del suo incredibile giro in tutto il mondo, la ricorda ancora con terrore. Già, perché Flavio è uno dei cento – «al massimo 120» spiega – che nella loro vita hanno visitato tutte le 193 nazioni del mondo: «C’è un sito che annovera circa 250 viaggiatori, ma in realtà ad aver certificato l’ingresso in tutti i Paesi siamo meno della metà.
Ci sono più persone che sono state nello Spazio di quante abbiano messo piede in tutte le nazioni riconosciute.
Bella soddisfazione, no?».
Cominciamo dall’inizio. Nove anni fa decide di mollare i tavoli verdi per inseguire il sogno di visitare tutto il mondo…
«Fin dai tempi della scuola non riuscivo a stare fermo per troppo tempo in un posto solo. A 25 anni lavoravo già a Lussemburgo.
Esperienza bellissima, per carità, ma la sera mi annoiavo terribilmente. E così, vivendo da solo, con il computer mi sono avvicinato al poker online.
Cominciai a giocare con assiduità e metodo, a vincere i primi tornei. A un certo punto ho capito che questo gioco poteva farmi guadagnare parecchio».
Partecipa alle WSOP di Las Vegas, in pratica i campionati del mondo del poker, comincia a collaborare con la tv Poker Italia 24. Improvvisamente, però, di lei si perdono le tracce.
«Come tutte le passioni, prima o poi cominci a stufarti. E poi io ho sempre sognato di girare il mondo, a un certo punto ho deciso di mollare tutto e di partire. Certo, non ero fidanzato, non avevo figli, è stato tutto più semplice: con i soldi vinti, i diritti di un fortunatissimo libro, ovviamente sul poker, e quanto avevo guadagnato vendendo l’auto, mi sono messo in marcia. Doveva essere un anno sabbatico, sono diventati nove. Mi hafermato solo il coronavirus, ma nemmeno per così tanto tempo».
Nel suo ultimo libro, “Everycountry. Viaggio in tutte le 193 nazioni del mondo, dall’Afghanistan allo Zimbabwe”, racconta che la pandemia è stata l’ostacolo più forte da superare.
«Ricordo che il 6 marzo del 2020 correvo a Mogadiscio, in Somalia, la mezza maratona indossando una maglietta con la quale chiedevo la liberazione di Silvia Romano, all’epoca ancora nelle mani dei sequestratori. Feci in tempo a prendere l’ultimo aereo per Roma prima del lockdown. Per uno che da sei anni era in giro per il mondo e aveva visitato 150 nazioni prendendo 362 voli, un autentico trauma».
Ma appena la pandemia ha allentato la presa…
«Avevo quell’obiettivo daraggiungere, attraversare i 43 Paesi che mi mancavano e diventare uno dei tre italiani a poter vantare questo record. Ma non è stato semplice: tra le nazioni in lista c’erano ancora la Siria, lo Yemen, la stessa Libia. E anche Paesi africani nei quali per superare le frontiere bisognava fare tamponi su tamponi. Senza contare che in alcuni posti non basta nemmeno questo, ti chiedono soldi per entrare,soldi per uscire. E insomma, in questi nove anni sono passato dai meno 58 gradi della Jacuzia all’inferno del Sahara Occidentale, da una “maratona segreta” in Afghanistan per sostenere i diritti delle donne alla sparatoria nello Yemen nella quale sono rimasto illeso per miracolo».
Ci mancava solo imbarcarsi in un cargo battente bandiera liberiana…
«Su un cargo mi sono imbarcatoveramente. Per arrivare a Kuala Lumpur, in Malesia. In tutti questi anni sono stato derubato, picchiato, ho preso la malaria, mi sono dovuto fingere missionario o consulente petrolifero. I problemi sono stati tantissimi ma ne valeva la pena».
Però adesso non c’è posto in cui non è andato, questo non toglie un po’ il piacere di rimettersi in cammino?
«Chi può essere così stupido da pensare di aver visto tutto? Ci sono 25 mila isole in mezzo al Pacifico, tanto per dirne una. E poi i posti cambiano, magari torno in Nuova Papuasia tra vent’anni e la riscopro diversa da quando l’ho conosciuta. Non si finisce mai di imparare».
In Corea del Sud, l’ultima delle 193 nazioni che ha visitato, ha organizzato una grande festa.
«È stato emozionante. Ho scelto un posto “facile” perché volevo che mi raggiungessero i miei amici, mia sorella, i suoi figli. Abbiamo tagliato la torta al confine tra le due Coree, un posto simbolico, l’ultimo grande muro da abbattere. C’era anche una mia amica di Pyongyang rifugiata a Seul, si è abbracciata con un coreano del Sud. Un messaggio di pace che mi ha riempito d’orgoglio».
Diciamo che lo Yemen è per lei il posto più pericoloso del mondo, ma se dovesse scegliere quello più bello o che le ha regalato più emozioni?
«Non è facile. Penso alla Finlandia dove per scommessa ho dato da mangiare a una renna indossando soltanto un kimono tra i ghiacci, ma anche al selfie nella piazza di Pyongyang sfidando le guardie del regime, le acque somale infestate da pirati, le “Porte dell’inferno” in Turkmenistan, il fascino dell’antica Persia che abbiamo studiato a scuola e l’Etiopia. Ma anche la Siria, lo stesso Yemen: posti desolati dove tra le macerie puoi scorgere il sorriso di una donna che va a comprare il pane o sentire le urla dei bambini che giocano a pallone in strada. È proprio vero che i fiori più belli spuntano dal fango».
Adesso si gode un po’ di meritato riposo, no?
«Veramente sono appena arrivato in Uganda, poi vado in Ruanda. Posti bellissimi che volevo rivedere. Però poi comincio a pensare davvero al futuro. Vorrei trasformare questa passione in lavoro, accompagnare i turisti in giro per il mondo. Mica sono uno che si ferma a lungo io».