Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  gennaio 10 Martedì calendario

Il caso Orlandi in breve

La ragazza sui manifesti: fascetta nera vagamente hippy sulla fronte, capelli castani lunghi e lisci, sguardo timido, sorriso un po’ forzato. Un viso pulito, da quindicenne non ancora sbocciata, che diventerà l’iconadi uno dei misteri più intricati dell’ultimo mezzo secolo.
Se ne accorsero in pochi, in quel torrido fine giugno del 1983, di quei manifesti che la famiglia di Emanuela Orlandi, figlia di un dipendente dello Stato Vaticano, aveva fatto affiggere in tutta Roma nella speranza che qualcuno avesse visto Emanuela o sapesse qualcosa. Chi l’ha visto?non esisteva ancora, quando un adolescente si dileguava i genitori sporgevano denuncia, diffondevano volantini, si presentavano nelle redazioni dei giornali. Nella maggioranza dei casi figlio o figlia tornavano in pochi giorni e i familiari nemmeno avvisavano. Fosche leggende sulla tratta delle bianche, su botole nascoste nei negozi per rinchiuderci le clienti più giovani o furgoni che giravano per tutta la città a caccia di prede, restavano nel limbo delle leggende metropolitane: nessun capocronista avrebbe mai dato spazio a una storia che sembrava così banale.
La bomba mediatica esplose il 3 luglio, con l’appello durante l’Angelus di Papa Giovanni Paolo II che chiedeva il rilascio della ragazza e, da allora, il clamore sembra destinato a riaccendersi a scadenze quasi regolari, punteggiato di rivelazioni e colpi di scena sempre più improbabili, fino al grottesco. Ma nel frattempo, già poche ore dopo la scomparsa, i familiari di Emanuela avevano ricevuto diverse telefonate: due uomini che parlavano in un romanesco accentuato e che, sostanzialmente, cercavano di rassicurare i genitori: la quindicenne se n’era andata di sua spontanea volontà e si sarebbe fatta viva presto. Niente a che vedere con la gestione professionale e quasi burocratica dell’Anonima sequestri che prevedeva scadenze, intermediari, elementi di riscontro sul fatto che l’ostaggio fosse ancora vivo. Di fatto, da quel 23 giugno, nessuno ha mai fornito una sola prova che Emanuela non sia stata uccisa poche ore dopo il rapimento.
I due telefonisti lasciarono il posto all’Americano, figura misteriosa e inquietante in cui qualcuno tentò di individuare monsignor Paul Marcinkus, discusso ex presidente dello Ior, la banca vaticana. L’Americano molto sapeva e molto depistava: parlò con i familiari sedici volte, sfuggì per un soffio a una cattura che, forse, avrebbe chiarito il mistero e scomparve. E con lui, probabilmente, l’unica pista veramente solida.
Il resto è stato un crescendo che è arrivato fino a ieri, i titoli “Svolta nel giallo di Emanuela” quasi più frequenti di quelli sul maltempo, le rivelazioni farlocche potrebbero riempire uno scaffale di saggistica sulle fake news. Nell’ordine: i Lupi Grigi, l’attentato al Papa, le farneticazioni di Alì Agca sul Terzo mistero di Fatima, i servizi segreti bulgari, il ricatto della Banda della Magliana per riavere i milioni investiti nello Ior, la sepoltura nei sotterranei della Basilica di Sant’Apollinare vicino ai resti di Enrico De Pedis, “Renatino”, ilDandy diRomanzo Criminale, il fotografo che si accusa del rapimento, la teste cocainomane e mitomane che giura di aver visto seppellire il corpo accanto a quello di un bambino che, però, fu assassinato ben otto anni dopo. Roba da Dan Brown.
E ancora: Emanuela vive in Turchia, sposata, madre e dimentica del passato. Emanuela è ricoverata in permanenza in una clinica psichiatrica di Londra, no, si è stabilita su un’isola greca. Qualcuno è perfino arrivato ad argomentare che la ragazza era stata fatta sparire perché figlia del Papa. Un teschio abbandonato vicino a una chiesa, un angelo funerario che punta il dito verso un luogo imprecisato, una telefonata tra due tizi anonimi che giurano di sapere chissà cosa…tutto è diventato spunto per fare pessimo giornalismo e, a volte, inconcepibili accertamenti giudiziari mentre il fratello di Emanuela, Pietro, figura dignitosa e dolente, cerca instancabilmente di ottenere giustizia e punta il dito sul Vaticano. La decisione di “riaprire” le indagini Oltretevere sembra, obiettivamente, un tentativo di frenare le illazioni visto che ultimamente è spuntata addirittura una sorta di lista della spesa con la cifra diligentemente annotata dalle suore di un convento per il mantenimento della ragazza.
L’unico punto fermo è che nessuno ha mai provato il legame con la scomparsa di Mirella Gregori, altra quindicenne che non conosceva Emanuela e di cui non si è più saputo niente. Il resto sono teorie da criminologi nei salotti televisivi. I pochi che conoscevano la Verità, probabilmente, sono morti da un pezzo.