il Giornale, 10 gennaio 2023
Il Puccini segreto è quasi boccaccesco
La convalescenza dopo l’incidente in auto, la relazione con l’amante e i rapporti con la futura moglie, il flop di Madama Butterfly. Sono alcuni dei temi che emergono nelle quasi 900 lettere del terzo volume dell’Epistolario di Giacomo Puccini edito da Olschki (pagg. 746, euro 90). Innanzitutto vi è la vicenda della sua relazione con una ragazza piemontese: Corinna Maggia, di Biella, studentessa a Torino, la cui frequentazione gli causò parecchi guai con la futura moglie Elvira Bonturi. Nel 1902, scrivendo alla Bonturi, la rassicura: «L’affare torinese è molto ma molto indebolito da parte mia». Elvira, però, sottopose Puccini a vere e proprie sfuriate di gelosia tant’è che, talvolta, il compositore scriveva alla figliastra Fosca: «Ti raccomando di calmare un po’ mamma». Puccini fu sempre controllato dalla Bonturi («Mi pare d’essere in prigione e un sorvegliato») la quale gli vagliava e sequestrava la posta, come emerge da una lettera a un amico di Torre del Lago: «Se per caso ti trovi alla posta quando arrivano le lettere fatti vedere le lettere e se ne vedi una sospetta mettila dentro o alla Tribuna o ad altro giornale così mi arriva». La relazione con la Maggia fu duramente condannata da Ricordi: «Ma è mai possibile che un uomo come Puccini, un artista che fece palpitare e piangere milioni di persone colla potenza e col fascino delle proprie creazioni, sia divenuto trastullo imbelle e ridicolo fra le mani meretrici di femmina volgare e indegna?». Puccini patì quella lettera, ma decise di far pedinare Corinna a Torino e, da Parigi, pose fine alla relazione: «Che dio maledica quella donnaccia là», scrisse alla Bonturi nel dicembre del 1903. Giacomo ed Elvira si sposarono pochi giorni dopo, il 3 gennaio 1904. Se la vicenda dell’amante è la novità di questo terzo Epistolario, non mancano altre pagine spassose perché Puccini era un maestro anche nella scrittura e nella mescolanza di toni. E da buon toscano verace, poi, era tutto tranne che placido e accomodante. Come quando Elvira sorprese il loro figlio, Antonio, a letto con la domestica: lui venne spedito in collegio e la donna licenziata. In seguito, scrivendo alla cognata Ida, Puccini tornò sull’argomento: «La troja pare calmata però dice alla Doria che per le sue anemie ci vuole un rotolo di carne cruda e viva!». Il gusto per l’allusione sessuale torna spesso nelle missive. Lavorando a Madama Butterfly, laddove Cio-Cio-San ricorda le parole di Pinkerton di tornare nella «stagione serena quando fa la nidiata il pettirosso», in una lettera al librettista Illica scherza: «Bisogna mettere in bocca a Butterfly questo uccello». E ancora, per descrivere la colomba pasquale inviatagli da Ricordi: «Il ser Giulio mi manda l’uccello con dolciura e confetti d’argento». Puccini aveva due passioni molto maschie: la caccia e i motori. Cacciatore incallito, quando perse il suo fidato coltello sentì il bisogno di annotarlo in una lettera e quando dimenticò il fucile a Roma sul treno scrisse che gli venisse spedito «a grande velocità» a Torre del Lago. E poi le macchine: le acquistava e le collezionava e nel 1903, con la sua Clement 8HP, si ruppe una gamba in un incidente stradale. La convalescenza fu lunga e sofferta, soprattutto per l’impossibilità di lavorare alla Butterfly (ma non solo: «Ho desiri erotici che mi rimangio»). Il cantiere di Madama Butterfly è il tema preminente dal punto di vista musicologico. Vi si leggono i dissapori con Giacosa (soprannominato Buddha) sulla struttura dell’opera e la delusione per il fiasco della prima del 17 febbraio 1904 che commentò con l’amico Camillo Bondi: «Fu un vero linciaggio! Non ascoltarono una nota quei cannibali. Che orrenda orgia di forsennati, briachi d’odio! Ma la mia Butterfly rimane qual è: l’opera più sentita e più suggestiva ch’io abbia concepito! E avrò la rivincita, vedrai». Grazie all’epistolario emerge sempre più un uomo diretto, anticonformista, boccaccesco. Un Puccini da amare ancora di più.