il Giornale, 10 gennaio 2023
Il Noma di Copenaghen chiude per un po’
René Redzepi, chef quarantacinquenne danese di origini albanesi, ha tre stelle Michelin ed è considerato il pioniere della «New Nordic Cuisine». Ha un ristorante a Copenaghen, il Noma (il nome viene dall’unione di «nordisk» e «mad», che in danese significano rispettivamente «nordico» e «cibo»), che da quattro anni è ritenuto il «migliore al mondo» (ha vinto per quattro edizioni consecutive il «The World’s Best 50 Restaurants»), e nel quale, per prenotare un tavolo, tocca una lista d’attesa di circa sei mesi. Cibi selvatici, muffe, microorganismi, batteri e lieviti sapientemente trasformati in intrigantissimi ingredienti, oltre a tutto il resto (carne di renna, bacche, licheni...), ovviamente, che lo ha catapultato in cima alle preferenze dei critici gastronomici più esigenti del globo e del pubblico più curioso. Ora, cosa avrebbe potuto fare un talentuoso chef all’apice del successo per alzare ulteriormente l’asticella delle aspettative? Annunciare che tra un anno, nel 2024, il suo ristorante noma chiuderà i battenti fino a data da destinarsi, trasformandosi nel frattempo in un laboratorio alimentare, che continuerà a sviluppare nuovi piatti e prodotti per la sua operazione di e-commerce, il «Noma Project», e le sale da pranzo verranno aperte solo per pop-up periodici. Per spiegare la scelta e la metamorfosi della punta di diamante della ristorazione, Redzepi ha in realtà parlato di «costi e ritmi insostenibili». E sul sito del locale chiarito che «nel 2025 il nostro ristorante si trasformerà in un laboratorio dove saggiare una cucina pionieristica volta all’innovazione alimentare e allo sviluppo di nuovi sapori», si legge sul sito che preannuncia l’avvio del Noma 3.0. Comunica con orgoglio lo chef: «Nel 2025, il nostro ristorante si trasformerà in un gigantesco laboratorio, una cucina di prova all’avanguardia dedicata al lavoro di innovazione alimentare e allo sviluppo di nuovi sapori, che condividerà i frutti dei nostri sforzi più che mai». E spiega inoltre che «Servire gli ospiti sarà ancora una parte di ciò che siamo, ma essere un ristorante non ci definirà più. Gran parte del nostro tempo sarà dedicato all’esplorazione di nuovi progetti e allo sviluppo di molte altre idee e prodotti». Ma il sospetto che dietro la chiusura ci sia anche una sorta di strategia di lesinarsi come una spezia rara giunge anche dal fatto che non è la prima volta che, dalla sua nascita, il Noma fa sentire al pubblico la sua nostalgia. Aveva aperto al centro di Copenaghen nel 2003, prima di chiudere nel 2016 per poi riaprire, due anni più tardi, in una zona più verde e decisamente insolita per far vivere ai clienti, ma soprattutto nel quotidiano a tutta la squadra di lavoro, l’idea di vicinanza alla natura di questa cucina che fa del «foraging» (la raccolta di piante spontanee e la cattura di specie animali selvatiche), uno stile di proposta gastronomica. Ora un’altra scelta drastica. Anche perché, ha spiegato Redzepi, «il lavoro in un ristorante come il Noma richiede una fatica enorme e, a livelli così alti, retribuire in maniera giusta un centinaio di dipendenti non è praticabile». Secondo lo chef, è tutta la ristorazione a certi livelli che è destinata a «doversi reinventare». Il Noma inizierà già nel 2025 e chissà che, proprio come per le bacche, le muffe, il lieviti e le stelle Michelin, non sia l’apripista per qualcosa di fortunato e rivoluzionario.