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 2023  gennaio 09 Lunedì calendario

“SI È RIUSCITI A MARCHIARMI PUBBLICAMENTE COME QUELLO MOLTO A DESTRA O ‘FALCO’, LO CONFERMO” - CON LE LAGNE INFILATE NEL SUO LIBRO “NIENT’ALTRO CHE LA VERITÀ”, MONSIGNOR GEORG GÄNSWEIN DIMOSTRA DI TENERE PIU’ A SE STESSO CHE ALL’UNITÀ DELLA CHIESA - PROPRIO LUI CHE DA EX SEGRETARIO DI UN PAPA, ENTRA IN ROTTA DI COLLISIONE CON UN PONTEFICE PER RAGIONI PERSONALI (BERGOGLIO LO CONGEDÒ DA CAPO DELLA PREFETTURA DELLA CASA PONTIFICIA) - IL RETROSCENA SULLA NOMINA DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE A SEGRETARIO DI STATO E LE RESISTENZE CHE FATTE DALL'USCENTE ANGELO SODANO A LASCIARE L'INCARICO E, SOPRATTUTTO, L'ALLOGGIO DI RAPPRESENTANZA… -

«Riguardo al mio futuro, quel che penso l'ho già affermato in tempi decisamente non sospetti, nel 2016, per cui mi limito a riproporlo: come pluriennale collaboratore e segretario del cardinale Ratzinger, poi di Papa Benedetto, evidentemente mi porto addosso il marchio di “Caino”.

Verso l’esterno sono perfettamente identificabile. Effettivamente è così: non ho mai nascosto le mie convinzioni. In qualche modo si è riusciti a marchiarmi pubblicamente come quello molto a destra o “falco”, lo confermo». Si conclude con queste eclatanti affermazioni il volume di mons. Georg Gänswein, “Nient’altro che la verità”, in uscita il prossimo 12 gennaio ma che Libero ha avuto modo, in anteprima, di leggere nella sua interezza.

Il “Prefetto (della casa pontificia, ndr) dimezzato”, come si autodefinisce lo stesso storico e fidato collaboratore di Benedetto XVI dedicando, con questo esatto titolo, un intero capitolo del volume alla narrazione della sua defenestrazione subita nel 2020 da Papa Francesco, chiude il suo manoscritto mettendo in chiaro quel che a tutti gli osservatori era ormai chiaro da giorni: è lui l’anima del conservatorismo, della destra ecclesiale che si rifà al pontefice appena defunto.

D’altronde Gänswein, nel ripercorrere il rapporto trentennale con Benedetto XVI, ha voluto sottolineare in ogni singolo passaggio del suo libro la fiducia, il rapporto filiale e, soprattutto, il fatto che di Ratzinger è stato il confidente, il custode di aneddoti e segreti, di retroscena, di verità anche scomode.

LODI DI GIOVANNI PAOLO II Il volume, che consta di ben 336 pagine, si apre con il racconto della sua nomina a segretario dell’allora Prefetto del dicastero per la Dottrina della Fede. Siamo nel febbraio del 2003 e Ratzinger è a capo della “Suprema” - come allora ancora in molti chiamavano l’ex Sant’Uffizio - da vent’anni. Troppi per il porporato bavarese che, alla soglia dei 75 anni, aveva espresso a Giovanni Paolo II il desiderio di ritirarsi e tornare in Germania.

Presentandolo ai membri del dicastero e agli altri collaboratori, Ratzinger disse: «È il mio nuovo segretario, ma siamo provvisori entrambi» racconta don Georg, rivelando anche che il cardinale aveva già pronto l’eventuale escamotage qualora Wojtyla non avesse acconsentito al rientro in patria: «Ratzinger aveva già fatto capire a Giovanni Paolo II che eventualmente avrebbe gradito essere nominato Archivista e Bibliotecario di S.R.C.».

Come sappiamo, il Papa Polacco non volle mai privarsi della collaborazione del “Panzerkardinal” in un posto chiave, quello “dottrinale” della Chiesa, e Gänswein, per rimarcarlo, sottolinea il fatto che Giovanni Paolo II, in una delle sue ultime pubblicazioni, l’esortazione apostolica “Alzatevi, andiamo” del 2004, scrisse: «Rendo grazie a Dio per la presenza e l’aiuto del cardinale Ratzinger che è un amico fidato».

Non pago di questa sottolineatura, Mons. Georg riporta anche una dichiarazione successiva di Joaquìn Navarro-Valls, storico portavoce di Wojtyla: «Non hanno precedenti le parole che il Pontefice scrisse un anno prima di morire, per la prima volta menzionò con lode esplicita ed eloquente un collaboratore vivo al quale esprime gratitudine ed amicizia».

Citazioni, quelle di Giovanni Paolo II e Navarro-Valls, che Gänswein inserisce non a caso, come a voler ricordare anche all’ala progressista della Chiesa: Ratzinger era il preferito di colui a cui vi volete impropriamente rifare, era lui il predestinato. Se tutto questo non bastasse a far capire l’antifona, mons. Georg riporta le numerose comunicazioni a tutti gli uffici vaticani e ai vari dicasteri che Wojtyla nel corso degli anni scriveva, di proprio pugno, sotto numerosi dossier che gli pervenivano giornalmente sulla scrivania: «Chiedete al cardinale Ratzinger».

PENSIERO E FERMEZZZA Eppure tanto predestinato il futuro Benedetto XVI non si sentiva, stando a quanto riporta il suo segretario particolare che dedica un ampio capitolo intitolato "La campagna elettorale al contrario" alle mosse, più o meno discrete, che Ratzinger fece per sfiduciare coloro che lo volevano sulla Cattedra di Pietro a votarlo.

Dice Gänswein: «Non pensavamo che il suo nome avrebbe retto a lungo nel susseguirsi degli scrutini a causa dell'ostilità di quanti non avevano mai apprezzato il suo pensiero e la sua fermezza nelle posizioni teologiche», e sottolinea che il decano de Sacro Collegio (Ratzinger era succeduto in tale incarico al cardinale Gantin nel 2002 e in tale posizione si trovava a dirigere i cardinali durante la Sede Vacante, ndr) «non aveva mai avuto interesse a partecipare a cordate né a mettersi a capo di una di esse, nonostante fosse stato ripetutamente sollecitato in tal senso da diversi confratelli cardinali».

E ancora: nei giorni del pre-Conclave «si sottrasse ad ogni contatto che non fosse strettamente indispensabile e legato al ruolo che ricopriva», smontando così le tesi di chi ha voluto dipingere il futuro Papa come fortemente impegnato in una campagna elettorale pro domo sua in quei giorni dell'aprile 2005. Ma una vera e propria campagna elettorale era invece in atto sul versante opposto, rivela Gänswein, ma non pro, ma contro qualcuno.

Quel qualcuno era proprio il decano Ratzinger. Mons. Georg ripercorre divertito la rassegna stampa di quei giorni d'interregno, ricordando i titoloni di vari giornali vicini alla sinistra italiana, in cui il nome del cardinale bavarese era per lo più assente nei pronostici pubblicati e, quando veniva citato, era più per screditarlo o per dare per scontata la sua sconfitta.

TRAME BERGOGLIANE Ma una campagna elettorale contro Ratzinger era in corso anche tra i cardinali che si sarebbero chiusi, in quei giorni di aprile del 2005, nel segreto della Cappella Sistina. Ricorda Georg nel capitolo del suo libro intitolato "Effimeri pronostici": «Nell'arco di qualche mese vennero poi alla luce diverse ricostruzioni sugli scrutini, ma ciò che fece più clamore fu il diario di un misterioso cardinale, pubblicato dal vaticanista Lucio Brunelli, che attribuiva a Ratzinger il risultato finale di 84 suffragi su 115 votanti.

Personalmente ritengo tuttora che fosse una cifra sottostimata, a giudicare dalla gioia che avevo visto sui volti di quasi tutti i conclavisti e da qualche frase detta a mezza voce da molti di loro quando avevamo avuto occasione di salutarci nei giorni successivi, come anche da altre loro dichiarazioni pubbliche e private di cui sono venuto a conoscenza in seguito.

Secondo le mie sensazioni, fra i più attivi a muoversi nel promuoverne la candidatura erano stati il colombiano Alfonso López Trujillo, il cileno Jorge Medina Estévez, gli spagnoli Julián Herranz e Antonio María Rouco Varela, il tedesco Joachim Meisner, l'austriaco Christoph Schönborn, il nigeriano Francis Arinze e l'indiano Ivan Dias. Ma poi numerosi altri si erano convintamente aggiunti.

Le ipotesi circolate fra i giornalisti riguardo all'autore di quel diario coinvolsero i nomi del brasiliano Cláudio Hummes» e, precisa Gänswein, «l'obiettivo sarebbe stato quello di rendere noto, a futura memoria, l'ottimo risultato di Bergoglio che avrebbe raggiunto, nel secondo scrutinio, i 40 voti necessari per bloccare l'elezione di qualunque altro candidato».

Una stilettata bella e buona al candidato risultato vincente nel conclave successivo e, soprattutto, a colui che sarà, nel 2013, il vero grande elettore di Francesco: il cardinale Hummes. Gänswein ricorda poi di aver provato a chiedere a Benedetto, successivamente alla rinuncia, cosa pensasse il Papa emerito sugli avvenimenti legati a quel Conclave: «Devo confessare che, nella serenità del Monastero, qualche volta ho provato a stuzzicare Papa Benedetto riguardo a quel diario, ma lui si è sempre limitato a stigmatizzare l'iniziativa dell'eventuale cardinale, dicendo che - nel caso fosse stato vero - ne avrebbe dovuto rispondere alla propria coscienza. E non si lasciò scappare alcunché riguardo a quel testo, nemmeno per confermare o smentire le mie azzardate affermazioni: "Però qualcuno deve pur aver parlato...", sperando almeno in un suo "Eh, sì", che non venne mai!».

LA NOMINA DI BERTONE Il libro poi passa in rassegna eventi significativi del pontificato di Benedetto XVI, a cominciare dalla travagliata nomina del cardinale Tarcisio Bertone a segretario di Stato a proposito della quale, nel capitolo "Successione traumatica", si sofferma anche sulle resistenze che fece l'uscente Angelo Sodano a lasciare l'incarico e, soprattutto, l'alloggio di rappresentanza all'interno del Palazzo Apostolico che spetta al primo ministro vaticano. Secondo le rivelazioni di Gänswein, si «dovette aspettare dopo l'estate (del 2006) prima che Sodano lasciasse liberi gli ambienti e Bertone potesse prenderne possesso».

Nel frattempo, «il nuovo segretario di Stato dovette alloggiare nel Torrione di San Giovanni, posizionato nei Giardini vaticani». Ma il fedelissimo di Benedetto narra anche di come Bertone arrivò all'obiettivo con una lunga campagna di persuasione sul Pontefice: «Con un Papa tedesco e numerosi prefetti di Congregazione stranieri, Benedetto riteneva opportuno che il segretario di Stato fosse un italiano (Angelo Scola, che qualcuno aveva suggerito, il Papa lo vedeva piuttosto come possibile presidente della Conferenza episcopale italiana).

E Bertone, subito dopo il Conclave, cominciò a frequentare periodicamente l'Appartamento, avvalendosi del preesistente rapporto di confidenza che gli permetteva di salire riservatamente, senza dare nell'occhio, tramite l'ascensore privato suggerendo al Papa opinioni riguardo ad alcune vicende della Curia e facendogli comprendere che poteva contare su di lui». E prosegue: «Ricordo che sin da maggio del 2005 alcune persone autorevoli, per esempio il cardinale Schönborn e il vescovo Boccardo, raccontavano in Vaticano che Bertone andava dicendo in giro con convinzione che sarebbe diventato segretario di Stato».

SCANDALO VATILEAKS Nel volume non poteva mancare un ampio racconto dell'ultima stagione, quella più traumatica, legata allo scandalo cosiddetto Vatileaks, alla fuga di notizie perpetrata dal cameriere personale del Papa, Paolo Gabriele, e a tutto quello che il lettore già conosce ampiamente dalle cronache dell'epoca e successive.

Emblematico il titolo del capitolo che il Monsignore dedica a questi avvenimenti, "Un insieme di miserie umane", in cui specifica che Gabriele fu consigliato a Benedetto da Mons. James Micheal Harvey, allora prefetto della casa pontificia, e che questi lo aveva precedentemente assunto come «cameriere personale dopo averlo notato tra gli inservienti addetti alle pulizie del Palazzo Apostolico».

IL VIAGGIO IN BRASILE Gänswein passa quindi a ripercorrere gli ultimi mesi del pontificato di Benedetto XVI, a cui dedica un capitolo molto lungo, "La Storica rinuncia che ha segnato un'epoca" a cui fanno da co rollario numerosi altri sottocapitoli di cui il più degno di nota è certamente quello intitolato "I motivi della decisione".

Scrive il segretario di Benedetto: «Galeotto fu il Mondiale e chi lo indisse. Mi spiego subito: il 30 ottobre 2007 la Fifa aveva assegnato al Brasile l'organizzazione della Coppa del mondo di calcio per il 2014, cosicché, quando il 21 agosto 2011 a Madrid, al termine della 26a Giornata mondiale della gioventu, Benedetto rese noto che la sede della successiva edizione sarebbe stata Rio de Janeiro, venne precisato anche che era stato ritenuto opportuno anticipare la 27a GMG al 2013, non rispettando la consueta cadenza triennale, per evitare la coincidenza dei due affollati eventi.

Si potrà condividere o meno la convinzione del Papa, ma - e lo dico con estrema chiarezza per sgombrare il campo da qualsiasi equivoco - fu proprio la questione della partecipazione personale a quella GMG a innescare in lui una riflessione, che via via si fece sempre più stringente, riguardo alla prosecuzione o meno del suo pontificato». Successivamente don Georg fa una rivelazione scioccante, inedita fino ad oggi: «Per di più, nel viaggio del 2012 in Messico, il Papa inciampo in un tappetino mentre era in bagno per farsi la barba e cadde di spalle, battendo la testa sul rialzo della cabina della doccia.

Non ebbe perdita di conoscenza o problemi particolari, ma furono necessari un paio di punti per suturare la ferita. Nonostante la medicazione il sanguinamento prosegui, al punto da costringere monsignor Guido Marini a non togliergli lo zucchetto, che copriva la garza macchiata, nei momenti in cui la liturgia lo avrebbe richiesto durante la Messa, tant è che qualcuno pensò che il maestro delle Celebrazioni si fosse distratto!

Al rientro in Vaticano, il dottor Polisca fu netto nello sconsigliare un altro viaggio transatlantico, suggerendogli di limitarsi a percorrenze meno impegnative. Benedetto prese sul serio questa indi cazione, ampliando la propria meditazione anche riguardo agli altri aspetti del ministero pontificio, e dialogò più volte con il medico personale, per comprendere bene il possibile evolversi della situazione di salute».

DECISIONE FINALE Ma è nel capitolo successivo, quello intitolato "In segreto a piccoli passi" che Gänswein rivela, definitivamente, come venne presa la decisione finale di Benedetto di rinunciare al Pontificato: «L'idea originaria di Benedetto era di comunicare la rinuncia a conclusione dell'udienza alla Curia romana per gli auguri natalizi, fissata quell'anno per il 21 dicembre, indicando come data conclusiva del pontificato il 25 gennaio 2013, festa della conversione di san Paolo. Quando me lo disse, a metà ottobre, replicai: Santo Padre, mi permetta di dirlo, se farà così, quest'anno non si festeggerà il Natale, né in Vaticano né altrove. Sarà come un manto di ghiaccio su un giardino in fioritura. Benedetto comprese le nostre motivazioni e alla fine scelse I'11 febbraio, giorno festivo in Vaticano per l'anniversario dei Patti lateranensi fra l'Italia e la Santa Sede, nel quale era già previsto un Concistoro cosiddetto per l'annuncio di alcune canonizzazioni.

IN TANTI SAPEVANO Ma la parte più succulenta di questo capitolo è senza dubbio quella in cui rivela che in molti sapevano all'interno della stretta cerchia di comando e privata attorno al Pontefice: «Nell'ultima settimana prima della rinuncia, Benedetto informò i componenti della Casa pontificia, fra coloro che furono messi a conoscenza, oltre ovviamente al fratello Georg, ci furono monsignor Guido Marini, maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie, e padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa della Santa Sede.

Ambedue ricevettero la notizia dal cardinale Bertone, in modo da essere preparati il primo a guidare la cerimonia del Concistoro e il secondo ad affrontare il prevedibile assalto dei giornalisti. Naturalmente, venne ufficialmente informato il cardinale Angelo Sodano, decano del Collegio cardinalizio: il Pontefice lo incontrò a quattr'occhi l'8 febbraio e gli diede personalmente la notizia».

Viene così smentita, dopo dieci anni, la favola propalata secondo cui nessuno sapeva niente tranne lo stesso Gänswein e Bertone. Un libro avvincente, pieno di tantissimi retroscena che approfondiremo ancor di più nei prossimi giorni perché, attenzione: manca ancora tutta la parte dedicata all'elezione di Bergoglio!