Il Post, 9 gennaio 2023
I senza cognome
Il presidente dell’Indonesia si chiama Joko Widodo: quando sui giornali italiani e internazionali si parla di lui viene menzionato per la prima volta come “Joko Widodo” e poi solo come “Widodo”, analogamente a quanto si fa per il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, chiamato prima per intero e poi solo “Biden”. L’analogia però non è corretta, perché “Widodo” è solo la seconda parte del nome del presidente indonesiano, che come molte altre persone originarie dell’isola di Giava non ha un cognome.
Lo stesso vale per Aung San Suu Kyi, l’ex leader politica del Myanmar: il suo nome è composto dal nome del padre, Aung San, da quello della nonna paterna Suu e da parte di quello della madre Khin Kyi. Nessuno di questi nomi però è un cognome, inteso come nome comune a una parte dei membri di una stessa famiglia che si trasmette da una generazione all’altra.
Si dà abbastanza per scontato che per identificare una persona si usi un nome e un cognome (eventualmente composti ciascuno da più elementi), ma in alcune culture del mondo questa pratica non esiste. In altre non esisteva fino a due secoli o alcuni decenni fa, prima che l’uso dei cognomi fosse imposto da paesi colonizzatori europei. Accadde ad esempio nelle Filippine, dove nel 1849 l’allora governatore spagnolo Narciso Clavería y Zaldúa ordinò una sistematica distribuzione di cognomi a coloro che ancora non ne avevano uno e fece realizzare un catalogo che raccogliesse tutti quelli permessi, che potevano essere spagnoli o versioni spagnoleggianti di parole filippine o cinesi. Per questo molti filippini, che durante l’epoca coloniale spagnola furono anche spinti a convertirsi al cattolicesimo, hanno cognomi come “de la Cruz”, “del Rosario” o “Bautista”.
Anche in Europa i cognomi non ci sono sempre stati, e sono anzi probabilmente più recenti di quanto si possa pensare.
I cognomi si sono sviluppati in modo indipendente in diverse parti del mondo e in momenti diversi, ma sempre in modo piuttosto simile e attraverso un processo graduale. Inizialmente le persone avevano un unico nome. Lo sviluppo di società più complesse e numerose, in cui sempre più persone si trovarono a vivere vicine, rese però necessario trovare forme di identificazione che permettessero di distinguere gli omonimi: serviva ad esempio per sapere chi aveva pagato una tassa e chi no, chi aveva commesso un crimine in passato e nel corso del tempo a chi spettasse un’eredità. Al contempo, le famiglie aristocratiche (e quelle che volevano farsi passare per tali) avevano interesse a essere conosciute con un unico nome, che indicasse le proprie nobili origini.
Così si cominciarono a usare patronimici o matronimici, cioè indicazioni sul nome del padre o (più raramente) della madre, e ad associare i nomi al luogo di provenienza (in questo caso si parla di toponimici), al mestiere svolto o a soprannomi legati a caratteristiche fisiche o storie personali.
A questa prima fase, in cui patronimici, toponimici, nomi di professione e soprannomi potevano essere usati insieme o da soli, in modo alternativo e cambiando nel tempo, ne è sempre seguita una in cui le istituzioni religiose o statali hanno cercato di imporre uniformità e stabilità nell’uso dei cognomi.
La Cina è il paese in cui i cognomi sono usati da più tempo con continuità: furono introdotti formalmente circa 2.240 anni fa, quando il primo imperatore della dinastia Qin unificò la Cina sotto un governo centralizzato e volle uniformare molti usi e costumi dei suoi diversi territori, compresi i nomi delle persone. All’epoca erano già diffusi sia matronimici che toponimici, che però non erano usati in modo stabile, ma potevano essere alternati o, nel caso dei toponimici, cambiare nel corso della vita di una persona. La riforma della dinastia Qin formalizzò l’uso, stabilendo le stesse regole per la trasmissione dei cognomi in uso oggi.
Oggi sono usati più di 4.700 cognomi cinesi, piccole varianti escluse, di cui dieci molto comuni e portati da circa il 40 per cento delle persone con cognome cinese: Wang, Li, Zhang, Liu, Chen, Yang, Huang, Zhao, Zhou e Wu. Generalmente nel nome intero di una persona viene prima il cognome e poi il nome personale, come si fa anche in Giappone e in Corea del Sud: ad esempio nel caso del presidente cinese Xi Jinping, il cognome è “Xi” – che si pronuncia “Sci”.
Ai tempi della formalizzazione dei cognomi cinesi, in Italia esisteva già un sistema antroponomastico, cioè di nomi propri per le persone, che prevedesse dei cognomi: era quello dei romani, da cui peraltro deriva la parola italiana “cognome”. Era un sistema unico tra i popoli di origine indoeuropea del tempo e generalmente prevedeva l’uso di tre o quattro nomi per ogni persona. Giulio Cesare ad esempio si chiamava per intero Caio Giulio Cesare: “Caio” era il suo prenome (praenomen), il suo nome personale; “Giulio” era il nome del suo clan nobiliare, la gens Iulia; infine “Cesare” era il cognomen della sua famiglia, che era un ramo della gens Iulia. Era poi possibile aggiungere ai tre nomi l’agnomen, un nome che ad esempio poteva commemorare una qualche impresa militare, come nel caso di “Africano” nel nome di Publio Cornelio Scipione Africano.
Tuttavia i cognomi italiani non derivano da quelli romani, perché durante il Medioevo se ne perse l’uso. Avvenne per due circostanze: un po’ per l’influenza del cristianesimo, che oltre a diffondere nuovi prenomi di origine ebraica o greca introdusse l’idea che tutte le persone sono uguali davanti a dio, e perciò non hanno bisogno di nomi composti. Ma soprattutto avvenne per il collasso del sistema amministrativo romano e per l’influenza delle popolazioni cosiddette “barbare” come i longobardi, che usavano nomi singoli e avevano una varietà di prenomi molto maggiore di quella romana: sulle iscrizioni che abbiamo a disposizione compaiono meno di 60 nomi propri romani.
Per secoli, spiega lo storico Roberto Bizzocchi nel saggio I cognomi degli Italiani. Una storia lunga 1000 anni, in Italia si fece a meno dei cognomi. Dopo l’anno Mille, con la crescita della popolazione e la sempre maggiore urbanizzazione, si cominciarono a usare patronimici, toponimici e altri proto-cognomi, che però divennero tali, fissi e regolarmente ereditati solo dopo qualche centinaio di anni, in tempi diversi per le varie zone del paese, sempre diviso tra vari stati.
Anche alcuni nomi di persone famose di quei secoli che consideriamo cognomi non lo erano davvero: sia “Petrarca” che “Boccaccio” erano patronimici e probabilmente anche “Alighieri” era più un patronimico che un cognome. Nel Cinquecento c’erano ancora moltissime persone senza un vero e proprio cognome e in certe zone d’Italia alcune ne erano prive anche all’inizio dell’Ottocento.
Una iniziativa analoga a quella della dinastia Qin in Cina, che sancì l’uso dei cognomi per come lo conosciamo, ci fu solo nel 1866 quando il Regno d’Italia, nato da cinque anni, istituì il proprio stato civile, che dava per scontato che chiunque avesse un cognome.
Oltre che in Indonesia e in Myanmar, ci sono persone senza cognome anche in Mongolia, in Bhutan, in Afghanistan e in alcune parti dell’India, dove ci sono stati casi di rinuncia al cognome consentiti dalla legge. In India spesso i cognomi suggeriscono infatti la casta di appartenenza: per questo in passato chi si opponeva al sistema delle caste scelse di non usare più il proprio.
C’è un noto scienziato americano di origine indiana, che è un biologo delle piante ed è considerato uno dei più importanti esperti di fotosintesi al mondo, che ha un solo nome per questo motivo: si chiama Govindjee. Suo padre, Visheshwar Prashad Asthana, aveva scelto di eliminare il proprio cognome (Asthana) e poi aveva dato un nome singolo ai propri figli. Govindjee ha raccontato di non aver avuto problemi legati al proprio nome fino a quando non andò a studiare negli Stati Uniti con una borsa di studio e dovette presentarsi a un impiegato degli uffici amministrativi della propria università:
“Come si chiama?” mi chiese. Gli risposi “Govindjee”. E lui mi disse: “Per cosa inizia, G?”. Dissi di sì. Lui controllò su un elenco e disse: “Non ha nessuna borsa di studio”. Replicai “In che senso non ho una borsa di studio? Ecco il documento che lo prova”. Lui lo guardò e disse: “Oh, signor Jee, il suo nome inizia per J, non per G!”. Il nome “Govindjee” infatti era stato diviso in due parti. Gli spiegai: “Guardi, io ho un solo nome. È un errore, metta insieme le due parti”.
Ora Govindjee non ha più problemi legati al suo nome in ambito universitario, ma nel corso della sua vita, viaggiando, ha dovuto farsi chiamare “Govindjee Govindjee” o “Professor Govindjee” o “Mister Govindjee” per poter riempire due campi sui biglietti aerei. Per semplificare la vita ai propri figli, che vivono negli Stati Uniti, ha dato loro come cognome il proprio nome: si chiamano Sanjay e Anita Govindjee.
Le difficoltà di Govindjee sono comuni a molte persone con un solo nome che emigrano dal proprio paese d’origine e che per poter chiedere visti per i paesi occidentali o altra documentazione decidono di dotarsi di un cognome.
Non hanno invece la stessa difficoltà le persone che tuttora hanno un patronimico al posto di un cognome. È il caso di molti islandesi: un uomo di nome Magnús figlio di un uomo di nome Jón, solitamente ha come nome completo Magnús Jónsson, che letteralmente significa “Magnús figlio di Jón”; un suo figlio di nome Ólafur invece si chiamerà Ólafur Magnússon. Lo stesso vale per le donne, con l’equivalente della parola “figlia”: una Guðrún figlia di un Karl si chiama Guðrún Karlsdóttir. Ci sono poi alcuni islandesi che invece di un patronimico hanno un matronimico, ma i primi sono più numerosi.
Un altro paese in cui generalmente si usano i patronimici al posto dei cognomi è l’Etiopia. Lì i nomi sono fatti spesso di due elementi: il nome personale e il nome del padre, che all’estero è generalmente interpretato come un cognome ma essendo in realtà un patronimico cambia da una generazione all’altra. È un uso diverso da quello dei cognomi europei perché anche nei contesti formali le persone sono chiamate col prenome, non con il patronimico. Per fare un esempio, l’ultimo imperatore dell’Etiopia, noto come Hailé Selassié, alla nascita si chiamava Tafari Maconnèn: Tafari era il suo nome, Maconnèn quello di suo padre, Maconnèn Uoldemicaèl; il nome del suo figlio primogenito invece era Asfauossen Tafari.