il venerdì, 6 gennaio 2023
Intervista a Ritanna Armeni - su "Il secondo piano" (Ponte alle Grazie)
Roma. Prima di scrivere il suo ultimo romanzo, Il secondo piano (Ponte alle Grazie), in libreria dal 10 gennaio, Ritanna Armeni considerava le suore "la sintesi dell’anti femminismo", anche lei vittima del pregiudizio attraverso il quale molti laici guardano alle suore. "Le incontravo spesso qui sul viale", racconta indicando la strada fuori dalla finestra di casa che dà sulle mura Vaticane, a Roma. "Erano delle figure che sostanzialmente ignoravo, ma sulle quali si addensava l’immagine negativa della Monaca di Monza, della Religieuse di Diderot, di Suor Giovanna della Croce di Matilde Serao". Dopo aver iniziato a collaborare con il primo mensile femminile del Vaticano, Donne Chiesa Mondo, il suo sguardo è cambiato radicalmente. "Ho conosciuto le suore da vicino, al di là dei preconcetti. E oggi le considero all’avanguardia del femminismo".
Tra il pregiudizio e il giudizio c’è la storia del convento delle francescane di via Poggio Moiano dove, nella Roma occupata dai nazisti, le suore salvarono quaranta ebrei (nel romanzo ridotti a dodici, per motivi narrativi), mentre i nazi-fascisti davano loro la caccia in ogni angolo della città, dopo il rastrellamento del Ghetto. L’incredibile è che al primo piano di questo piccolo convento - in cui oggi, sulle scale, incontro dei senza tetto in attesa di un pasto caldo - i nazi avevano installato un’infermeria.
Le suore, invece, si erano ritirate al secondo piano, nascondendo gli ebrei al terzo. Per mesi, un solo piano separò i perseguitati dai persecutori. "In quelle circostanze, anche un piccolo passo falso sarebbe stato letale per gli ebrei, e avrebbe messo in pericolo anche le vite delle suore. Le quali non corsero questo rischio per obbedire all’ordine del Papa, che in realtà non si pronunciò mai ufficialmente, ma decisero in autonomia, seguendo il proprio sentimento della carità. E non furono le sole. Gli storici calcolano che, soltanto a Roma, tra i 4 e i 5 mila ebrei furono salvati nei conventi e negli istituti religiosi. E, per lo più, si trattava di suore".
Sono storie rimaste ai margini della storia ufficiale per una ragione che Ritanna Armeni indaga da sette anni. Dopo aver fatto la giornalista politica al manifesto, militato nel movimento femminista, condotto la trasmissione Otto e Mezzo, Armeni si è dedicata a disseppellire, dalla tragica ed entusiasmante vicenda del Novecento europeo, le vite di donne che la Storia ha omesso, dimenticato, cancellato.
Ha raccontato Ines, l’amante di Lenin rimossa dalla narrazione ufficiale della rivoluzione bolscevica per non macchiare l’immagine del fedele capo rivoluzionario. Mara, donna fascista che non aderiva affatto al modello che il fascismo aveva disegnato per le donne. Le fenomenali aviatrici sovietiche che hanno combattuto contro i nazisti di Hitler. Infine, le donne che nel Sessantotto si sono ribellate ai loro compagni maschi. "Quello che ho imparato", dice Armeni, "è che la contraddizione femminista è universale e attraversa ogni passaggio della civiltà umana".
Dove si trova nel caso delle suore che racconta?
"Vien dato per scontato che le donne agiscano nella storia in silenzio, con umiltà, senza disturbare. Infatti, nella Storia che si insegna a scuola, le storie di queste suore sono pressoché ignorate. In questo senso, incarnano alla perfezione il ruolo che la società vorrebbe assegnare alle donne: essere il più possibile invisibili".
Secondo lei, anche quella delle suore è stata Resistenza?
"Lo è stata di fatto. Anche se non si tratta della Resistenza fatta in nome della Libertà, della Giustizia, della Patria o del Socialismo, mitologie eroiche di cui è piano il Novecento: è invece una resistenza compiuta in nome della carità, completamente anti eroica, senza bandiere da sventolare sui palazzi, ma per le persone, esclusivamente in nome delle persone".
È perciò impolitica?
"Al contrario. Ha un valore politico fondamentale. Perché mette in discussione alla radice l’epica dell’eroe, l’idea del salvatore della Patria che giunge in una comunità e la redime con la forza dei suoi atti. È il mito odierno del leader. La figura che ha più ha danneggiato la democrazia occidentale e italiana in particolare".
Non rischia, a sua volta, di mitizzare?
"Perché?".
Perché poco fa mi ha detto che le suore sono "l’avanguardia del femminismo".
"E a rischio di provocare incomprensioni, lo ripeto".
Allora spieghi perché lo sarebbero.
"Perché, pur all’interno della Chiesa, le suore sono delle figure autonome e indipendenti: economicamente oltre che spiritualmente. Poi perché vivono in una comunità esclusivamente femminile. Da cui discende il terzo punto, il più importante: hanno creato, e creano in continuazione, un punto di vista femminile sul mondo. Che non è molto dissimile - fatta eccezione per la fede - da ciò che facevano contro il patriarcato i primi gruppi di donne".
Lei però si è fatta femminista, non suora.
"Ma è proprio da femminista che dico che la strada della libertà femminile non può essere rinchiusa in uno schema prestabilito. Ci sono infiniti modi di essere donne e libere. E ci sono stati anche prima del femminismo. La libertà femminile si è manifestata ovunque nella storia. In forme che certamente non sono quelle di oggi. Ma bisogna avere il coraggio di guardare questa libertà così come si è manifestata".
Però le suore ancora oggi rinunciano alla vita sessuale e, di conseguenza, anche alla libertà sessuale.
"Non lo nego di certo, e non guardo alle suore come un modello di vita, né voglio qui tessere l’elogio di tutte le religiose, in blocco, a-prioristicamente".
Però?
"Però penso che oggi la questione sessuale sia sufficientemente sciolta nella vita delle donne italiane che ci si può avvicinare all’esperienza delle suore senza il rischio di alimentare tabù né sul corpo né sul piacere".
Ma lei crede?
"No, non credo. E non aggiungo: "Purtroppo"".
Perché precisa?
"Perché sono serenamente lontana da qualsiasi richiamo religioso, e guardo le suore non come "serve di Dio", ma come donne. Certamente di fede. Ma, innanzitutto, donne".