La Stampa, 9 gennaio 2023
Il ladro dei manoscritti
Un genio o un pazzo? Un maniaco ossessivo o un burlone? Il mistero del ladro di manoscritti di libri è risolto, ma solo a metà. Il colpevole ha confessato. Negli ultimi cinque anni ha rubato oltre mille manoscritti di libri non ancora pubblicati, di Margaret Atwood e Stieg Larsson, Ethan Hawke e Sally Rooney, ma anche di sconosciuti. Ha provato perfino a violare la rete di sicurezza della segretissima Elena Ferrante, ma la casa editrice e/o l’ha scoperto in tempo. Alla Tila (Claire Sabatie Garat e Marco Vigevani) ha provato a rubare il manoscritto di Woody Allen. Alla Marsilio il quinto capitolo della saga di Millennium. Filippo Bernardini, 30 anni, italiano originario di Terni, lavorava nella sede londinese della casa editrice americana Simon & Schuster. Era stato arrestato dall’Fbi il 5 gennaio dell’anno scorso appena atterrato al JFK di New York per una vacanza. Da allora è nelle mani della giustizia americana. Venerdì si è dichiarato colpevole confermando l’accusa della procura di New York e sarà processato ad aprile.
C’è il colpevole, ma ancora manca il movente, che è la cosa più affascinante di questa storia. Perché l’ha fatto? Il Lupin dei libri ha creato qualcosa come 160 falsi account da cui mandava mail, cambiando una lettera o il dominio. Una m con una rn, un.com con un.it, le q sostituivano le g (@wylieaqency.com). Le mail avevano il corpo e il font giusto del reale mittente, anche il tono personale, il linguaggio tecnico adeguato. Il manoscritto era “ms”, come si abbrevia in gergo. Editor, traduttori, agenti, scout, giudici del Man Booker Prize: il gotha dell’editoria internazionale di tre continenti è finito nella sua rete. Qualche volta è riuscito a impossessarsi del manoscritto, altre è rimbalzato nei sistemi di sicurezza e nei doppi controlli che vengono fatti per autori molto importanti.
Ma perché? Perché rischiare 20 anni di carcere (questo il massimo della pena per frode telematica secondo la Bbc) per impossessarsi di manoscritti senza poi farne niente? Bernardini infatti non ha mai chiesto un riscatto, non li ha divulgati nel dark web, non li ha diffusi sulle piattaforme di sharing dei file illegali, quindi non c’è un motivo economico, non ci ha mai guadagnato un euro e non ha danneggiato le case editrici, né gli autori, né influenzato le aste editoriali. Allora perché? Non si sa. E questo è il bello di una storia che altrimenti sarebbe simile a mille altre storie di hackeraggio, di piccole truffe online, di ricatti.
Un bravo sceneggiatore tirerebbe (tirerà? chissà che dalle parti di Netflix non ci stiano già lavorando…) fuori una serie con i fiocchi, da questo schema inventato da Bernardini. Pensate alla follia. O alla genialità, che poi in letteratura il confine è sempre labile. Bisogna ammettere che il nostro Lupin dei libri ha fatto un lavoro gigantesco, vantando una conoscenza minuziosa degli ingranaggi dell’editoria dei bestseller oltre che un patrimonio di informazioni e di competenze incredibile. Solo per leggere per primo? Se fosse stato solo quello il movente? Un Lupin solitario e ossessivo, che non voleva aspettare e condividere con altri il piacere della scoperta. L’idea dell’esclusività, che è motore di tanto affannarsi contemporaneo: c’è chi spende migliaia di euro per una bistecca al sale, chi per essere sparato nel cosmo con un razzo. E perché la lettura non potrebbe essere un’esperienza irripetibile? Perché negarsi il piacere di leggere in anteprima un libro che attendono milioni di persone? Non sarebbe bellissimo se la vera motivazione di Bernardini fosse questa?
O invece voleva solo farsi beffe dell’intero sistema? Voleva dimostrare a qualcuno che era capace di farlo? Tante ipotesi sono state sprecate. Qualcuno aveva pensato che fossero i servizi segreti russi o il governo cinese, per destabilizzare il sistema culturale occidentale. E già un’ipotesi del genere la dice lunga sull’ego smisurato di certi personaggi nel mondo editoriale. Altri più praticamente avevano fatto notare che rubare un manoscritto, pure di un autore che vende milioni di copie, non è propriamente un’operazione di spionaggio industriale o tecnologico di alto livello. Non è il vaccino contro il cancro, insomma.
Alla Fiera di Francoforte e di Londra, quando si era parlato del tema, qualcuno aveva buttato lì l’ipotesi che il ladro fosse uno scrittore frustrato a corto di idee, altri un produttore di Hollywood che voleva scopiazzare o intervenire in anteprima su un soggetto. Tutte ipotesi bellissime, l’ambiente è creativo, pettegolo e fantasioso. Invece niente, niente russi, niente complotti internazionali, niente riscatti.
Nell’agosto del 2021 sul New York Magazine era uscita una lunga e dettagliatissima inchiesta dal titolo The Spine Collector firmata da Reeves Wiedeman e Lila Shapiro. Leggetela se vi capita, è un vero thriller. I due seguono varie piste, interpellano ogni fonte possibile, indagano sugli scout editoriali (all’epoca i principali sospettati). “«pionaggio? Vendetta? O una completa perdita di tempo?» si chiedevano dopo un anno di lavoro che non li aveva portati né al nome del ladro né tantomeno alla motivazione.
Dove non sono arrivati i due giornalisti è arrivata l’Fbi dopo 5 anni di indagini. Ora è tutto confermato. L’autore è davvero lui, Filippo Bernardini, un oscuro (ora non più) impiegato di trent’anni che si è divertito a prendere per il naso il mondo editoriale e chissà se questi mille e rotti manoscritti se li poi è letti o semplicemente si è divertito a riempire le memorie dei suoi computer di materiale proibito.
Il paradosso (o la morale o la beffa, decidete voi) di tutta questa storia è che in genere la sfida per la maggior parte dei manoscritti è di convincere qualcuno (agenti, editor, scout) a leggerli. Qui è il contrario. Forse era questa la vera sfida del Lupin dei libri? —