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 2023  gennaio 09 Lunedì calendario

La Silicon Valley sul viale del tramonto

Il vento siberiano batte sulle vetrate del 440 Terry Ave N, il quartier generale di Amazon a Seattle da dove vengono promulgati i bollettini dei nuovi tagli al personale. Il lungo inverno del settore hi-tech parte dallo Stato di Washington, appendice settentrionale del distretto tecnologico a stelle e strisce, per “gelare” le prospettive occupazionali di tutta la Silicon Valley. «Abbiamo navigato in un’economia incerta e difficile in passato e continueremo a farlo – spiega l’amministratore delegato Andy Jassy – Questi cambi ci aiuteranno a perseguire opportunità di lungo termine con una struttura di costi più solida. A chi perde il lavoro offriremo pagamenti e benefit sanitari». Le riduzioni, iniziate dalla creatura di Jeff Bezos in novembre, per la gran parte focalizzate negli Usa, mentre per l’Italia non sono previste riduzioni di organico, non sono le sole varate dal comparto hi-tech all’alba del nuovo anno: anche Salesforce, Vimeo e Stitch Fix licenziano sul timore di recessione economica e vendite stagnanti. E i ridimensionamenti fanno seguito a quelli attuati da altri giganti del settore nell’anno appena concluso: Meta ha annunciato il taglio di oltre undicimila posti ed Elon Musk ha dimezzato il personale di Twitter con tremila esuberi. Un’ondata di gelo occupazionale che tiene in scacco tutta la Silicon Valley, comprese Apple e Google, che per ora sembrano limitarsi al congelamento delle assunzioni, sebbene non si escludano manovre più muscolari. L’emorragia di dipendenti dalle aziende tecnologiche è stata pari a più di 150 mila posizioni, rispetto alle 80 mila del 2020 e le 15 mila del 2021, che – afferma il sito Layoffs.fyi – eleggono di diritto il 2022 annus horribilis dell’industria hi-tech. E più in generale per i mercati.
Il comparto azionario è crollato, le obbligazioni sono state colpite da una pioggia di vendite che hanno fatto balzare i rendimenti a dieci anni (barometro del credito) al 3,826%, dall’1,496% della fine del 2021. E le criptovalute sono state vittime di un terremoto che ha portato al crollo di giganti del settore, a partire da FTX. Tutto ciò è il risultato di diversi fattori ma soprattutto dalla convinzione tradita che l’aumento dell’inflazione del 2021 sarebbe stato solo transitorio. Al contrario, le pressioni sui prezzi sono state esacerbate dall’invasione russa dell’Ucraina, che ha fatto impennare i costi di gas e petrolio. Così, nel tentativo di riportare i prezzi verso il basso, la Federal Reserve ha proceduto agli aumenti dei tassi di interesse più aggressivi dagli anni Ottanta. Il tumulto nei mercati globali ha contagiato Wall Street dove lo S&P 500 è sceso del 19% durante l’anno, il Dow Jones ha ceduto l’8,8%, mentre il Nasdaq è precipitato del 33%, indebolito da un ripido calo delle azioni tecnologiche. I tre indici hanno registrato i ribassi più pronunciati dal 2008, l’anno in cui è fallita Lehman Brothers apogeo della crisi finanziaria, ma è senza dubbio il comparto hi tech che ne esce più malconcio. Secondo il settimanale The Economist, i cinque giganti della tecnologia Apple, Alphabet, Meta, Amazon, Microsoft hanno perso nel 2022 circa tre mila miliardi di dollari di valore di mercato. Sebbene il colosso di Redmond abbia registrato la minore incidenza sulla riduzione della forza lavoro.
La politica monetaria più restrittiva ha portato gli investitori a uscire dal comparto: quando i tassi di interesse erano estremamente bassi, come lo sono stati per più di un decennio dopo la crisi finanziaria del 2008, costava meno agli investitori scommettere su società spesso non redditizie che promettevano di realizzare crescita nel medio-lungo termine. Per la maggior parte del decennio scorso, gli investitori hanno preso d’assalto società tecnologiche in rapida crescita facendo registrare l’impennata dei prezzi di titoli come Meta, società madre di Facebook, Amazon, Apple, Netflix e Alphabet, proprietaria di Google. Tanto che è stato coniato l’acronimo FAANG per descrivere l’olimpo del comparto hi-tech.
Da più di un anno a questa parte i gestori Usa sono riluttanti a scommettere su investimenti rischiosi con guadagni incerti, posizionandosi invece su comparti più maturi, come sanità, servizi pubblici ed energia. Così Meta è crollata del 64% nel 2022, Netflix è scesa del 51% e gli altri tre titoli sono scesi di almeno il 27%. Dopo aver toccato esattamente un anno fa i tremila miliardi di dollari di capitalizzazione, il gigante guidato di Tim Cook vede invece scivolare il suo valore di mercato sotto i duemila miliardi affondata dalle incertezze sulla domanda e sulla nuova ondata pandemica in Cina. Le FAANG nel complesso hanno bruciato più di tremila miliardi di dollari di valore di mercato, contribuendo a trascinare verso il basso il mercato azionario più ampio. E prosegue il trend negativo di Tesla che nel 2022 ha segnato il peggiore anno in assoluto con un calo del 65% e oltre 700 miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato bruciati.
«Per i mercati la chiave di lettura è che durante la pandemia le hi-tech hanno assunto a valanga per stare al passo col boom della domanda e ora si trovano a dovere fare i conti con un’economia che rallenta e spese diventate insostenibili anche per effetto dell’inflazione, quindi devono tagliare», spiegano sul Floor di Wall Street. Quindi se una società risparmia da un punto di vista finanziario è meglio, sebbene sul piano economico non sia un buon segnale. «Il punto è che questa fase è caratterizzata da un’equazione perversa, le cattive notizie sono viste come buone, se la disoccupazione sale i mercati si rassicurano perché significa che il compito della Fed sul piano della politica monetaria sarà meno severo, ovvero ci sarà un rallentamento nel rialzo dei tassi di interesse e un’eventuale fine». Un’altra tessera del mosaico è la pubblicità: «Meta sta facendo i conti con la stretta di Apple sulla privacy che non gli permette di fare pubblicità mirata e quindi guadagna di meno». C’è inoltre la competizione di TikTok sempre più crescente, oltre agli inserzionisti che spendono meno, e questo è un fenomeno ampio e trasversale. Twitter è un caso a parte che dipende anche dalla questione manageriale interna. Il 90% degli oltre cinque miliardi di dollari di ricavi della piattaforma di microblogging deriva dalla pubblicità ma da quando è arrivato Musk (con l’acquisto del social per 44 miliardi) alcuni dei principali inserzionisti hanno sospeso le inserzioni.
Segnali sul cambio del quadro di riferimento erano giunti dallo stesso Mark Zuckerberg assieme all’annuncio dei tagli: «All’inizio del Covid, il mondo si è spostato rapidamente online e l’ondata di e-commerce ha portato a una crescita dei ricavi fuori misura. Molte persone hanno previsto che sarebbe stata un’accelerazione permanente che sarebbe continuata anche dopo la pandemia. Compreso me. Sfortunatamente, non solo il commercio online è tornato alle tendenze precedenti, ma la recessione macroeconomica, l’aumento della concorrenza e la perdita di tenuta pubblicitaria hanno fatto in modo che le nostre entrate fossero inferiori alle aspettative. Ho sbagliato e me ne assumo la responsabilità». Da qui la scure dei tagli che si è abbattuta sul personale anche per ridare ossigeno al titolo.
Guardando al futuro sono tre le considerazioni che emergono. La prima, più rassicurante nel breve, è che i licenziati del comparto tecnologico trovano agevolmente impiego. Secondo un sondaggio ZipRecruiter, circa il 79% trova nuova occupazione entro tre mesi, quasi quattro su dieci lo trovano in meno di un mese. La seconda, di impronta strategica, arriva da Ashley Llorens, responsabile di Microsoft Research Outreach. «Occorre riportare il discorso al tema dell’innovazione – spiega il guru di Redmond durante un recente simposio a cui La Stampa è stata invitata – Di solito l’innovazione ha impatto sulla forza lavoro, c’è sempre una rottura iniziale in termini di riduzione di posizioni e bisogna ragionarci assieme a governo e operatori creando ammortizzatori. Ma la collaborazione tra uomo e macchina nel medio-lungo termine ha l’obiettivo di creare circuiti virtuosi anche per la forza lavoro». La terza e ultima indicazione, di più ampio respiro, giunge da Eric Sterner, responsabile degli investimenti di Apollon Wealth Management, che al Wall Street Journal spiega come la tecnologia tornerà ad essere leader del mercato quando la Fed inizierà a tagliare i tassi, probabilmente nel 2024. «Una volta che ci saremo preparati alla ripresa – chiosa Sterner -, mi aspetto che le aziende hi-tech tornino ad assumere la loro posizione di leadership, perché si tratta delle realtà più innovative che i mercati conoscano». —