La Stampa, 9 gennaio 2023
Una notte (pericolosa) in Centrale. Reportage
Mario è sempre lì, ogni giorno fino a sera. Dice che gli piace «osservare la gente di fretta». Seduto di fronte alle biglietterie automatiche della stazione Centrale di Milano, sorseggia lentamente una birra. Che fai qui? «Passo il tempo, aiuto chi ha bisogno di un’indicazione», biascica un po’ e abbassa gli occhi, nel suo vecchio maglione grigio perla. Questa stazione è un posto sicuro? «Certo!», dice spavaldo. Si ferma un istante: «Insomma» mima il gesto con la mano. Sorride, prende una sigaretta dalla tasca e si allontana.
La Centrale per molti turisti è la porta di accesso alla città ma non sempre è il suo migliore biglietto da visita. «Quel che è successo a Termini, la ragazza accoltellata, poteva capitare anche qui. Passa chiunque e alcuni non ci stanno con la testa», dice Marianna, che ha 34 anni, lavora in smart working da Verona per uno studio di consulenza milanese e ogni tanto fa la pendolare. «Quando la sera c’è meno gente capita di avere un po’ paura. Fuori, più che dentro. Nella stazione c’è security, esercito, polizia» racconta mentre paga il biglietto e una voce dalla macchinetta le ricorda di «fare attenzione ai borseggiatori». Che, alla stazione milanese e ancor di più nel mezzanino della metropolitana della Centrale, sono soprattutto giovanissime donne rom. Scippano cellulari, portafogli, zaini a turisti sbadati. A dargli la caccia, in questo “mondo di sotto” che corre parallelo a quello alla luce del sole, non sono soltanto gli agenti della polfer o della polmetro. Campagne contro di loro vengono portate avanti da gruppetti di ragazzi spesso molto giovani, poco più che diciottenni, in base a una strampalata idea di “giustizia”. Le rincorrono col cellulare in pugno, le filmano, ci litigano, e pubblicano tutto su pagine social come “Milano bella da Dio” e “Basta criminalità”, spesso a uso e consumo del politico di turno.
Le borseggiatrici, però, non sono l’unico problema. Dal primo bilancio del 2022 della polizia ferroviaria, nelle sole stazioni lombarde sono state sequestrate 75 armi, la maggior parte da taglio, oltre a 600 grammi di cocaina, quasi un chilo di eroina e 5 di hashish.
Ai piedi della Centrale, la grande piazza Duca d’Aosta è un crocevia di mondi che si sfiorano. Tra le persone che camminano a passo svelto, curdi, afghani, richiedenti asilo con gli zaini pieni di speranze popolano l’aiuola di destra, vicino ai ragazzini che fanno su e giù con lo skateboard tutto il giorno. Quella che dà più da fare a polizia e carabinieri – che con auto e camionette si alternano nel servizio d’ordine – è l’aiuola di sinistra: ci sono soprattutto marocchini, egiziani, senegalesi, qualche ghanese, che vanno avanti e indietro dietro dal McDonald’s. Viveva qui anche il tredicenne Bilal, rapinatore bambino che ha tenuto banco per un mese sulle cronache dei giornali prima di essere affidato alla comunità di don Claudio Burgio. Come lui, altri giovani che bazzicano in questa area della piazza spesso vengono fermati per spaccio, rissa o il furto di qualche valigia o cellulare. «Dopo le 21 ne arrivano altri», racconta Antonio, addetto alla sicurezza della pista di pattinaggio sul ghiaccio installata da fine novembre. «Sono pusher, li vedi da come si muovono, spesso litigano tra loro. Qualche giorno fa un uomo è stato colpito a un gluteo con un coltellino mentre prendeva da terra una valigia. Colpa di un pazzo, niente di grave. Ma con questi a bivaccare c’è da stare attenti, soprattutto in tarda serata».
Di giorno, con la stazione ormai trasformata in un grande centro commerciale, i negozi e i ristoranti del mercatino centrale tutti aperti, la musica cambia. E anche i pendolari e i turisti si sentono più sicuri, soprattutto all’interno dello scalo. Come dimostra un sondaggio commissionato da Ferrovie italiane, tra le mura della Centrale la percezione della sicurezza è dell’81,4 per cento, all’esterno solo del 42,6. «Se lavori qui, sai che può infilarsi chiunque. Capita il pazzo, l’ubriaco, il delinquente. La stazione è una calamita», racconta Giulia, commessa del negozio di caramelle Candylisa al piano terra, vicino alla scalinata che porta ai treni. «Ma noi abbiamo tutti i numeri di emergenza», fa un passo indietro, mostra un foglietto attaccato con lo scotch sul bancone, tra la cassa e la bilancia dei dolciumi. «Basta chiamare, la polfer arriva in tre minuti».
Dopo la mezzanotte, quando i passeggeri dell’ultimo treno sono usciti, la Centrale chiude i battenti. Dentro non c’è più posto neanche per la disperazione: la maggior parte dei senzatetto, che rimaneva a dormire in qualche anfratto, è andata via. «Prima erano decine. Stavano uno accanto all’altro proprio qui, davanti alla nostra sede, nel sottopasso di via Tonale», ricorda Mario Furlan, il fondatore dei City Angels. «Non era sano: era come vivere in una camera a gas, con le macchine che sfrecciano e poco ricambio d’aria. Così nel dicembre del 2021 il Comune, che aveva aperto un dormitorio nel mezzanino della stazione, ci ha chiesto aiuto per convincerli a spostarsi lì. Molti di loro hanno accettato. Sono rimasti in pochi, tutti stranieri: soprattutto del Nord Africa e dell’Est Europa». —