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 2023  gennaio 09 Lunedì calendario

Cosa sappiamo del tesoro d’arte a San Pietro

Il caso della favolosa collezione d’arte antica di Monsignor Michele Basso, l’anziano canonico della basilica di San Pietro recentemente scomparso, impacchettata e chiusa dentro una trentina di casse di legno sistemate in ambienti protetti a ridosso della Cupola di Michelangelo, finisce sotto i riflettori del Ministero della Cultura. Gli uffici del Collegio Romano sono pronti «a verificare» da vicino la vicenda del tesoro segreto di San Pietro, come oramai viene definito dagli addetti ai lavori, collezionato dal prete negli anni, assemblando reperti archeologici, secolari dipinti e opere su carta, di provenienza italiana e su cui aleggiano non pochi sospetti sul rischio di irregolarità. Vogliono vederci chiaro. A partire dal ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano che, appresa la notizia dalle pagine del Messaggero, vuole prima di tutto «studiare» la situazione.
E il generale Vincenzo Molinese, che guida dalla scorsa estate il nucleo strategico dei carabinieri della Tutela Patrimonio Culturale, dopo aver sostituito il generale Roberto Riccardi, precisa che «come organo investigativo agiranno sulla base delle normative internazionali». Già, internazionale, perché quelle decine e decine di pezzi antichi che hanno alimentato anche inchieste interne da parte delle autorità vaticane perché rimaste avvolte dall’aura del mistero sull’origine di quei lasciti e sulla regolarità della provenienza, restano a tutti gli effetti in territorio straniero.
DETECTIVE IN AZIONE
Insomma, l’obiettivo dei dirigenti del dicastero dei Beni culturali è proprio quello di verificare in tempi stretti il contenuto di quei bauli ignifughi e passare al setaccio i circa settanta pezzi tra reperti di natura archeologica, statuaria, dipinti su tela, tavole incise su rame e schizzi su carta. Persino una scultura in marmo bianca ispirata alle statue dei Prigioni di Michelangelo. Esigenza che potrebbe far scattare a breve un’operazione diplomatica affiancata dall’intervento investigativo dei carabinieri che potrebbe confluire, come scenario nell’immediato futuro, in una rogatoria internazionale promossa dalla Procura che permetterebbe ai militari italiani di recarsi nelle sale del Vaticano e fare uno studio ravvicinato sulla cosiddetta collezione Basso. Ad attirare l’attenzione del direttore del Museo Etrusco di Villa Giulia Valentino Nizzo, in queste ore, è soprattutto la raffinata copia moderna, eseguita nel Novecento scorso, del famosissimo Cratere di Eufronio, capolavoro di ceramica etrusca il cui originale (datato, invece, all’inizio del VI secolo a.C.) è conservato oggi al Museo di Cerveteri.
IL MUSEO ETRUSCO
«È una vicenda molto interessante e sarebbe prezioso e doveroso fare il prima possibile chiarezza, verificando tutte le opere nel dettaglio custodite a San Pietro. Penso soprattutto alla questione dei reperti archeologici. Ogni volta che ci si trova di fronte ad un deposito privato di reperti si possono recuperare informazioni preziose. Ogni frammento di conoscenza merita l’attenzione delle istituzioni e degli studiosi. Chissà che altro può uscire da queste casse. Quello che dispiace è che quando un reperto antico è privato del suo contesto storico e ambientale d’origine, per un archeologo significa perdere comunque dati significativi e importanti». Il Cratere di Eufronio, poi, rappresenta una storia nella storia. Rubato dai tombaroli nel 1971, esportato illegalmente in America, esposto per anni al Metropolitan di New York, infine ritornato in Italia nel 2006, dopo una lunga e complessa operazione investigativa e inchieste sui predatori d’arte. Prima, accolto dal Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma, poi esposto definitivamente a casa sua al Museo di Cerveteri dopo che nel 2015 l’allora ministro Dario Franceschini firmò l’atto di trasferimento permanente del vaso insieme all’altro capolavoro etrusco: la Kylix di Eufronio.
IL MERCATO DEI FALSI
La bella copia nelle mani del Vaticano rischia di riaprire la partita perché confuterebbe la data del rinvenimento dell’originale che il Metropolitan ha dovuto restituire. Se il vero Cratere è stato ritrovato solo nel 1971 in uno scavo clandestino vicino a Cerveteri, come è possibile che in Vaticano vi sia una copia? E quando è stata fatta: all’inizio o alla fine del Novecento? «Quello che è sicuro - commenta Valentino Nizzo - è che il Cratere di Eufronio figurava nelle fotografie del noto contrabbandiere e mercante d’arte Giacomo Medici, e sulla base di queste prove si è potuto dimostrare che lui lo deteneva prima che comparisse al Metropolitan». Quanto alle copie di vasi etruschi e greci, «è una produzione molto diffusa in tutto il Novecento - riflette Nizzo - quando le tecniche sono diventate sempre più raffinate, tanto che i prezzi di mercato dei falsi sono andati sempre più crescendo».