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 2023  gennaio 08 Domenica calendario

Biografia di Teresa Mannino raccontata da lei stessa

Cominciamo dalla sua scimmia?
«Ora mi metto a piangere».
Coraggio.
«È una delle poche cose di cui mi vergogno. Avevo 10 anni...».
Racconti.
«Ero fissata con i primati, guardavo tutti i documentari, ricordo ancora la pagina della Treccani e me che dicevo: io sono questa. Così, in quinta elementare per la promozione chiesi una scimmia».
E l’accontentarono?
«Mi presero una bertuccia e ci rimasi male, perché volevo uno scimpanzé. La chiamai Gegè, scappò il giorno stesso per colpa di mio fratello: l’abbiamo vista per settimane saltare da un ramo all’altro nella campagna palermitana...».
Meno male!
«Non è finita. Piansi disperata e una settimana dopo arrivò Gegè 2. È stata con noi un paio d’anni, dentro una gigantesca voliera in campagna, con due alberi dentro. Era bellissimo avere a che fare con lei. Poi è scappata».
Teresa Mannino ha una montagna di ricci che cascano sulla sua faccia pulita. Dimostra dieci anni in meno dei suoi cinquantadue. Ha appena interrotto le prove de Il giaguaro mi guarda storto, il nuovo spettacolo che ha debuttato a dicembre al Teatro Manzoni di Monza e che dal 10 al 22 gennaio la porterà al Teatro Manzoni di Milano.
Che bambina era?
«Perfida».
Com’è una bambina perfida?
«Ero cattiva. E molto determinata: sapevo quello che volevo. Però facevo ridere con le imitazioni degli altri: dello zio antipatico, del vicino di casa, dei professori. Avevo sempre la battuta pronta per stroncare qualcuno».
Lo ha preso dai suoi genitori?
«Loro non erano perfidi. Da mia madre ho preso il modo di raccontare e l’amore per gli animali. Da mio padre la battuta di spirito e la capacità del silenzio: sapeva ascoltare gli altri».
La leggenda narra che una volta diede uno schiaffo a sua madre.
«Aveva detto una cosa molto maschilista che non potevo accettare. Andava rimproverata. Glielo diedi come si batte il pugno su un tavolo per azzerare tutto. Lei era una donna di grandissima intelligenza e rise sotto i baffi».
E se lo facesse con lei sua figlia Giuditta, che ha 13 anni?
«Tutto è possibile: io di errori ne faccio di più. Però noi eravamo tre figli, Giuditta è figlia unica, ha due padri, due madri, 14 nonni, una famiglia allargatissima. È meno violenta di me perché arriva da una Sicilia diversa. Capita anche che sbotti: ma cosa stai dicendo. Mi fa ragionare».
Lei cosa voleva fare da grande?
«Sapevo che non volevo fare il medico come mio padre: a quello ci hanno pensato mio fratello e mia sorella. Io desideravo avere figli».
Ha fatto anche l’elettricista.
«Apprendista-elettricista. Era un lavoro part-time, quando mi ero già trasferita a Milano. Ne conoscevo uno che aveva bisogno di un assistente: si trattava soltanto di andare a prendere le balle del filo, cose così, molto semplici. Ho sempre avuto buona manualità, grazie a mia madre, che tra le altre cose ha fatto la ceramista. Comunque è durata poco: nei cantieri la voce se ne andava subito, i muratori neanche mi rivolgevano la parola perché ero una donna, e nemmeno architetto».
Ha lavorato al sito web di un chirurgo plastico.
«Dovevo incrementare il numero dei pazienti, ma quando scrivevano li dissuadevo. Però ho selezionato io la segretaria: bravissima».
La prima volta a teatro?
«Al Carcano di Milano, con la scuola di recitazione. Ma non ho avuto grandi soddisfazioni: facevamo prosa e non era la cosa giusta per me. Detesto il teatro borghese, non lo vado a vedere, non mi interessa. Considero la mia vera “prima” alle Colonne di San Lorenzo, quando improvvisammo una pièce con degli amici. Quando ho assaporato la risata, ho capito che era casa mia».
Zelig è stato la sua scuola di comicità.
«Ho passato tanti anni a divertirmi come una matta».
Ci è tornata anche nei panni di conduttrice, assieme al Mago Forest. Due siciliani.
«Abbiamo presentato dieci puntate. Con lui ho un rapporto speciale. Siamo molto siciliani, sì, ma atipici e diversi. Abbiamo entrambi origini madonite, ma non è quello a unirci. Lui è una persona generosa, attenta agli altri. Mi ha fatto passare dieci settimane a ridere. Lo stimo tanto professionalmente».
Come nel caso dell’ultimo «Il giaguaro mi guarda storto», scrive sempre lei i suoi spettacoli. È cambiato il modo?
«All’inizio giravo sempre con una penna e un foglio di carta, ma andava bene anche lo scontrino. Magari notavo qualcuno sull’autobus, o il tale che gridava dietro a quello che attraversava piano la strada, bastava un piccolo appunto e poi nasceva il monologo. Adesso è diverso. La scrittura nasce anzitutto dalla lettura: saggi sul femminismo, libri di antropologia, i romanzi meno. Poi dopo due anni che leggo ritorno al famoso semino, di solito qualcosa che mi ha fatto arrabbiare, e da lì fiorisce il testo. Per dire: del Giaguaro all’inizio erano 83 pagine e adesso sono 28».
E qui qual è il seme?
«Ho visto sparire totalmente il desiderio dagli occhi di tutti, dopo la pandemia».
Lei oggi cosa desidera?
«Di desideri ne ho tanti, a partire dallo scoprire cosa fa ridere il mio pubblico di quello che ho scritto. Poi desidero riuscire a lavorare in Sicilia, ma non con uno spettacolo o con le tappe di una tournée. Vorrei proprio fare delle cose in Sicilia, con le siciliane. E poi desidero sempre vedere il mare».
Si è trasferita a Palermo per il lockdown, ma ha casa anche a Milano.
«Adesso mia figlia sta per finire le scuole medie, poi vediamo cosa decide di fare. Io torno spesso a Milano. La cosa che amo di più di Milano sono i milanesi, il loro rigore, la professionalità, lo spirito operoso in cui mi identifico».
Guarda caso da piccola in casa la chiamavano «la milanese».
«Sì, perché guardavo Quark di Piero Angela».
Cosa c’entra?
«Lo dica a mio fratello. A pranzo io volevo vedere Quark, mentre lui qualsiasi altra cosa. Così ha cominciato a chiamarmi la milanese: era un’offesa, come dirmi bacchettona».
Lui è molto più grande di lei?
«Tre anni di più. Si chiama Vincenzo, come tutti i maschi della mia famiglia. Mia sorella invece ne ha sette di più: lei si chiama Rosalia, assomiglia alla santa, come lei è bellissima, ha i capelli lunghi, biondi e lisci».
E lei da chi ha preso per i capelli?
«Da mio padre. Vincenzo, appunto».
La emozionò il primo film: «Amore, bugie & calcetto»?
«Curiosamente sia il primo che l’ultimo al momento, Io e mio fratello, li ho girati con lo stesso regista, Luca Lucini, che è adorabile, capisce la comicità. Nel primo avevo solo tre scene in cui dovevo far ridere. Nell’ultimo ho una parte più importante, con attori molto bravi, tipo Lunetta Savino. Però ci si diverte di più a teatro».
Chi sono i suoi attori preferiti?
«Tra gli italiani, Silvio Orlando: è bravissimo sia nel drammatico che nel comico. Del cinema americano amo Meryl Streep e Anne Bancroft».
Quando i suoi familiari vengono a vederla recitare si emoziona?
«Tutte le volte. Giuditta, in particolare, è molto protettiva. Mentre scrivevo lo spettacolo nuovo si preoccupava e mi diceva: mamma, la gente vuole che tu faccia ridere. Beh, mi dice anche che sono vecchia... Ma nel lavoro è delicata e ha paura di ferirmi».
Imprevisti a teatro?
«Al debutto arrivo molto impreparata, ormai è il mio vezzo. Così se va male posso dire che è perché non avevo studiato. L’impreparazione, però, lascia lo spazio all’improvvisazione, e mi fa interagire tanto con il pubblico».
Gli applausi più belli?
«Quelli a Palermo o a Milano, perché sono le mie città. Ma quando mi capita all’estero, lì capisco che c’è qualcosa in più, oltre al complimento: c’è un senso di appartenenza, un legame con la patria. Del resto, questa cosa di tornare nella Terra Madre un significato ce l’ha. Se hai un problema di salute dicono che dovresti mangiare un po’ della terra dove sei nato. Comunque, all’estero gli applausi li senti diversi, hanno un altro significato».
È sempre magretta: le piace o le dispiace?
«Sono sempre stata forte. E mio padre diceva che di magrezza non si muore, si muore di grassezza. Mi piaccio così come sono, riccia, spettinata e con il nasone».
Per cosa ha fatto follie?
«Quelle le faccio solo per amore, ma non le racconterò mai. Prima le devo dire a mia figlia. Già amare è una follia...».
Ce ne dica almeno una.
«Ho rischiato di perdere un film per essere arrivata tardi alla prova costume, per un appuntamento con un amante. Ma lì non ragioni...».
Chi è il personaggio che l’ha emozionata di più?
«Ho incontrato George Clooney, Michael Bublé... Ma l’unico che mi ha emozionato davvero è stato Andrea Camilleri: la cultura e il sapere mi mettono sempre un po’ di emozione e soggezione».
Oggi sta con Paolo, produttore cinematografico conosciuto sul set del docufilm su Camilleri, «Il maestro senza regole».
«Quando mi sono innamorata di Paolo mi sono confidata con lui. Si era creato un rapporto forte, così gliel’ho detto, facendogli capire che sarebbe stato un casino. E lui mi rispose (e qui Teresa Mannino imita la parlata di Camilleri, ndr): “Non problematizzare”. Da allora è diventato il nostro mantra».