Corriere della Sera, 8 gennaio 2023
Tutto l’amore di Cathryn per Luca Vialli
«Luca non solo era uno sportivo di grande talento, rispettato da tutti, ma era soprattutto il marito e il padre più affettuoso. Siamo devastati. Grazie per tutto il vostro sincero amore e supporto».
Cathryn White Cooper Vialli consegna il suo messaggio agli italiani che hanno amato il marito in una busta, che contiene un foglio di carta scritto al computer. E lo fa per mano di Martina Vian, assistente dell’ex campione negli ultimi quattro anni e mezzo, che apre la porta della casa di Chelsea mentre su Londra la pioggerella sottile è diventata un acquazzone. È il massimo che la privacy condivisa e sempre difesa in maniera maniacale da Luca e dalla moglie sudafricana, arredatrice di interni che non ama per nulla essere definita ex modella, può concedere ai pochissimi cronisti presenti: lunedì alle 18.30 ci sarà una messa a Cremona in ricordo del ragazzo riccioluto partito dall’oratorio di Cristo Re che «ha conquistato i trofei e le menti» di Italia e Inghilterra, come ha scritto il Guardian. Ma sulla data e sul luogo del funerale nulla trapela: per volere di Gianluca sarà riservato soltanto alle due famiglie e agli amici più stretti, la segretezza è assoluta. L’unica certezza è che non sarà celebrato domani.
Il messaggio di Cath però fa capire quanto la moglie, le figlie Olivia e Sofia di 18 e 16 anni, siano commosse e in qualche modo quasi stupite da tutto l’affetto che arriva dall’Italia. Un fiume di ricordi, di passione e di nostalgia, che ieri si è espresso nel minuto di silenzio intensissimo dello Juventus Stadium. E che irradia anche le strade della Londra più ricca e riservata: la Londra di Vialli, che da fine anni 90 ha cambiato casa diverse volte e si è poi stabilito in questa piccola laterale di Old Church Street. Libby White Cooper, gemella di Cath e cognata di Luca, esce a fare due passi: «Non è il momento giusto per parlare – spiega con gentilezza —, sono giorni molto tristi. L’affetto che ci sta arrivando dall’Italia è incredibile, mio figlio che è lì me l’ha raccontato. Luca era una grande persona: non era più solo un campione, ma un simbolo».
La clinica dove Vialli è morto nella notte di giovedì è a cinque minuti a piedi da qui. Rimosso in fretta lo striscione dei tifosi sampdoriani comparso venerdì, c’è solo un mazzo di fiori con una vecchia maglia della Juventus arrotolata alla cancellata. Stamford Bridge, la casa del Chelsea, è a un quarto d’ora di passeggiata: lì il memoriale si riempie di fiori, biglietti, occhi arrossati al pensiero dei giorni belli, quando Luca al debutto da giocatore-allenatore prima della partita con l’Arsenal brindò con i suoi calciatori facendo bere loro champagne: «Sono inglese – c’è scritto su un cartoncino bagnato dalla pioggia – ma mio padre mi ha battezzato Gianluca come il suo giocatore del Chelsea preferito. Più cresco e più sono orgoglioso di questo privilegio, perché sei stato un gentleman della vita. Riposa in pace».
Vialli, grazie al suo carisma, alla filosofia di vita che lo ha sempre accompagnato e grazie anche al suo inglese perfetto, è stato davvero il bomber dei due mondi. E qui ha lasciato una traccia significativa nella cultura popolare, come dimostrano i messaggi dei Simply Red, di Gary Lineker e David Beckham. La sua Londra è stata anche la Royal Albert Hall, in un memorabile concerto del suo amico Eros Ramazzotti, è stata il torneo di Wimbledon, con le fragole, meglio senza panna. Vialli a Londra è arrivato come un pioniere a caccia dell’oro che oggi rende la Premier il campionato più importante del globo: quando nel ‘96 da campione d’Europa sbarcò al Chelsea, chiamato da Gullit, non c’era nemmeno la sala pesi. Con l’arrivo di Zola e Di Matteo, the italian job ha sventolato la sua bandiera sulla globalizzazione del football ed è stato Vialli il primo allenatore a schierare 11 Blues di nazionalità diverse.
Ma questa resta anche una Little Italy dei sentimenti e delle relazioni custodite anche quelle gelosamente, come racconta Lucio Altana, l’amico ristoratore a due passi da casa: «Durante l’Europeo io stavo male e lui mi ha aiutato tanto. Quando veniva mi avvertiva un po’ prima e mi diceva di buttare gli spaghetti integrali, da mangiare sempre con le vongole e l’aglio in camicia. Nell’attesa gli preparavo l’insalata Vialli, che nel menù non c’è, con le pere e il pecorino. A dicembre l’ho visto per l’ultima volta, aveva il volto sofferente. Ma sempre con il sorriso».