Corriere della Sera, 8 gennaio 2023
La Svizzera si interroga sui depositi degli oligarchi
Non poteva che essere la Svizzera a porre una questione importante come i diritti di proprietà di fronte alla guerra in Ucraina. Nella Confederazione, è accesso il dibattito su come il Paese, neutrale e decisamente rispettoso delle proprie leggi, debba comportarsi nei confronti di Kiev e di Mosca. La scelta di campo di Berna è stata netta fin dall’inizio: non solo solidarietà ma anche sostegno concreto agli ucraini. Ora, però, si pone un problema che per gli svizzeri è di importanza fondamentale e che dovrebbe essere considerato anche dalle altre democrazie: i fondi della banca centrale russa e i depositi degli oligarchi che stanno nelle banche elvetiche possono essere confiscati per aiutare la difesa dell’Ucraina, la sua economia e per ricostruire le sue infrastrutture distrutte?
La domanda non è affatto banale. Il diritto di proprietà è un pilastro dei diritti di libertà in una società democratica, non ci si può passare sopra facilmente. È giustificato confiscare o espropriare al cospetto di una guerra alle porte dell’Europa? Su questo la Svizzera è sotto pressione. L’Associazione bancaria elvetica calcola che nel Paese siano depositati tra i 150 e i 200 miliardi di franchi (è circa lo stesso valore in euro) appartenenti a russi. La maggior parte di queste persone, però, non è soggetta a sanzioni da parte della Confederazione e quasi sempre nemmeno della Ue e degli Stati Uniti. Non sono dunque denari toccabili. Finora, Berna ha bloccato asset russi sottoposti a sanzioni per 7,5 miliardi di franchi, oltre a 15 proprietà. I fondi della banca centrale di Mosca (non sanzionata da Berna) non si sa invece quanti siano nella Confederazione: certamente non ce ne sono nella Banca nazionale svizzera, forse una decina di miliardi stanno in banche private. La questione è stabilire se i fondi bloccati o che lo saranno in futuro possono essere usati a favore di Kiev.
Il Senato degli Stati Uniti ha passato, in dicembre, una misura in base alla quale Washington potrebbe usare i fondi russi congelati a sostegno dell’Ucraina: alcuni senatori vorrebbero che anche la Svizzera facesse qualcosa del genere. Con forza, il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha chiesto di utilizzare i capitali in Svizzera per la ricostruzione del Paese attaccato da Putin. Ma altri, in Europa, sono meno convinti che ci sia lo spazio legale per farlo, a cominciare dal cancelliere tedesco Olaf Scholz. E, nella Confederazione, l’opposizione alla confisca – che è cosa diversa dal congelamento – è forte. Citato dalla Neue Zürcher Zeitung, il presidente della Commissione Esteri del Parlamento, Franz Grüter, ha sostenuto che certe proposte di confisca equivarrebbero a espropri. «Allora possiamo abolire direttamente la certezza del diritto», ha commentato. L’aggressione all’Ucraina è un evento enorme ma un passo del genere renderebbe più facile muoverlo anche in caso di conflitti meno gravi. Una cosa diversa – si dice a Berna – saranno gli indennizzi per i danni di guerra provocati dall’invasione russa: ma questi si decideranno solo dopo un accordo di pace.
La Svizzera sta insomma ponendo una questione rilevante per tutte le democrazie: la guerra giustifica la sospensione di alcune leggi fondamentali che garantiscono la libertà? Accusare Berna di poca solidarietà sarebbe una forzatura. Anche perché si è allineata a praticamente tutte le sanzioni contro Mosca decise dalla Ue, ha dato asilo ai rifugiati ucraini, ha congelato i fondi di individui vicini a Putin, sostiene la ricollocazione di imprese ucraine medie e piccole fuori dalle zone più colpite dalla guerra e ha limitato il commercio di materie prime russe sul suo territorio (prima dell’invasione, più di tre quarti del petrolio di Mosca veniva scambiato a Ginevra). Il totem della neutralità elvetica, dunque, è stato pragmaticamente messo da parte. C’è però un altro punto, legato alla neutralità, che la Svizzera deve affrontare.
La Germania ha mandato a Kiev veicoli per la difesa antiaerea. Per farli funzionare, servono le munizioni: Berlino possiede più di 12 mila proiettili ma non può mandarli agli ucraini perché sono stati prodotti in Svizzera e la legge elvetica vieta la riesportazione delle armi realizzate nella Confederazione. Ciò irrita ucraini, tedeschi, europei e Nato. In Svizzera c’è naturalmente chi domanda di cambiare la legge. Anche questa è una questione aperta.
Viviamo in tempi di cambiamento, come hanno segnalato Svezia e Finlandia quando hanno deciso di aderire alla Nato. Anche per la Svizzera, neutralità è forse un concetto da ridefinire nel Ventunesimo Secolo.