Il Messaggero, 8 gennaio 2023
Alessandro Benvenuti si è autoesiliato
Dieci anni al Barlume. Un’isola felice, ma anche un autoesilio da un mondo quello del cinema e della tv da cui si è sentito profondamente tradito. All’Isola d’Elba, dove dal 2014 interpreta il toscanaccio Emo nei gialli della serie I Delitti del Barlume - da domani alle 21.15 su Sky con la prima di tre nuove puntate - Alessandro Benvenuti si sente al sicuro. A 72 anni l’artista toscano, fondatore a fine anni Settanta del trio de I Giancattivi con Athina Cenci e Francesco Nuti, e regista di cult come A ovest di Paperino, ha appeso la macchina da presa al chiodo, preferendo il teatro in attesa di un ruolo che possa tornare a farlo sognare.
A parte il Barlume, in tv non ci va da 15 anni. Perché?
«Mi sono trovato bene con la Rai, quando girai Un colpo al cuore (nel 2000, ndr). L’editor era una donna molto intelligente e di buon senso, a differenza della melliflua direttrice di produzione, che mi remava contro».
Di chi parliamo?
«Non farò nomi. Quel lavoro andò bene. In Mediaset invece (Mogli a pezzi, 2008, ndr) non ho trovato la stessa intelligenza. Gli serviva un nome che desse garanzia e un capro espiatorio su cui addossare il fallimento: ma se chiami un regista perché ha personalità, non puoi imporgli quello che vuoi. Ho smesso perché quel lavoro non mi dava più felicita. Non era il mio mondo».
Da 20 anni non dirige un film. Perché?
«Mi hanno fatto passare la voglia. L’ultimo film, Ti spiace se bacio mamma (del 2003, ndr), è l’unico che ho fatto con finanziamenti pubblici. Fui intortato dalla Rai: volevano solo avere un’ora e mezzo in più in palinsesto. Fui quasi costretto a girarlo e fu distribuito male. Quello precedente era I miei più cari amici (1988, ndr), una roba mal condotta dalla Cecchi Gori. Non fui aiutato nella scelta del protagonista: io non volevo recitarci, volevo Vincent Cassel. Un film maledetto. Fu difficile finirlo e ne soffrii così tanto che dissi: mai più un simile dolore. Fui sbeffeggiato, da allora non leggo più le recensioni. Dopo quel film scrissi un testo teatrale in cui un autore pensava al suicidio».
Ci pensò davvero?
«No, l’ho solo descritto. In maniera poetica e divertente».
Nel 2004 condusse Striscia La Notizia: perché solo 5 giorni?
«Perché ritenevo conclusa la mia avventura. Mi chiamarono per fare la rivoluzione: un’idea di Ricci, perché Striscia era in caduta libera con Bonolis che gli stava facendo le scarpe. Dopo una notte insonne scrissi 50 pagine per rivoltare il programma, senza più veline. Mi dissero: eh, ma così ci fai lavorare. In studio mi ritrovai con Luca Laurenti e pure Sconsolata (Anna Maria Barbera, ndr), che non era prevista. Fu un tradimento».
I Giancattivi si sciolsero nel 1985: potevano durare di più?
«No, eravamo al limite. Si muore da soli anche se partecipi a un suicidio collettivo. Il più coraggioso fu Francesco, che fece il primo passo».
Siete rimasti in contatto? Nuti (vittima di un incidente domestico nel 2006, ndr) come sta?
«Con Francesco non è facile, non ci sentiamo da almeno cinque anni. Athina è la madrina della mia terza figlia, andiamo insieme a teatro».
Le commedie italiane languono. Perché?
«Le grandi commedie di una volta erano intrise di temi sociali. Adesso la maggior parte di quei film nascono per far riposare il cervello. Non c’è differenza nel vederli al cinema o in piattaforma. In rete vedo gente anche più brava dei Giancattivi. Quando poi arrivano al mercato, accettano regole che li smosciano. È tutto un accontentarsi».
Il cinema italiano come sta?
«Siamo una provincia culturale rispetto al resto del mondo. Dall’estero arrivano film e serie con una profondità che non cogliamo. Il mondo ci sfugge. Pensiamo solo al pianerottolo. O ai problemi dei trentenni».
Il carattere l’ha ostacolata?
«No, mica sono un toscanaccio come Emo, io. Io sono zen. Quasi».